Onorina
è omosessuale. Anzi è
lesbica.
Basta con i termini edulcorati e buoni. Se uno è uno stronzo
non
si può dire che è “diversamente
gentile”,
è uno stronzo e basta.
Onorina è lesbica.
Si vede da come guarda le donne.
Ha un luccicare dentro gli occhi che non appartiene a nessuno degli
sguardi che le donne abitualmente si scambiano.
Non assomiglia nemmeno agli sguardi concupiscenti degli uomini quando
guardano una bella donna e la immaginano già nuda, sopra un
tavolo.
È un luccicare sconosciuto.
Non riusciremo mai a capire che cosa eccita una donna a cui piace
un’altra donna. Non sono le stesse cose che eccitano noi.
Anche in questo siamo così diversi. E in più
siamo
invidiosi.
Dunque Onorina è lesbica, anche se viaggia accompagnata da
due
maschi.
Sono anche dei bei ragazzi per quello che io posso giudicare.
Marco è il prototipo del figo da discoteca: capelli biondi,
lunghi, il ciuffo malandrino che nasconde gli occhi.
Gianni invece è magro come uno stecco. Ha l’aria
del
figlio di puttana. Un filo di barba e lo sguardo strafottente.
Cosa ci faccia Onorina con questi due non mi è chiaro ma
sono
arrivati stamattina e sentir parlare italiano mi ha fatto uscire dalla
capanna.
Sono rimasto un po’ a guardarli.
Jorge gli ha assegnato una delle
“cabañas” vicine
alla palizzata; non so come riusciranno a dormirci in tre ma questi non
sono fatti miei.
Dopo che hanno concordato il prezzo, lei mi ha guardato per un istante
e poi quando è passata davanti a me, mi ha salutato, in
italiano, dicendo – ciao –
Ma forse voleva dire – che cazzo avevi da guardare?
–
Onorina è incazzata nera.
Le hanno rubato tutto il bagaglio ma sa che è solo colpa sua.
Era a Manabì, duecento chilometri a sud e per il caldo
asfissiante aveva tenuto la porta della sua stanza aperta in modo che
entrasse l’aria della notte. Oltre alla brezza
dall’oceano
è entrato anche un ladro e le ha portato via lo zaino.
Le nostre capanne sono sicure; sono fatte con tronchi di
bambù
legati con spago e fil di ferro.
Di notte ti devi anche coprire perché di brezza dal mare ne
arriva in abbondanza.
La porta rimane chiusa ma serve soltanto a evitare che entrino i ladri.
Per il resto non c’è nessuna protezione o privacy.
Si sente tutto dal di fuori, compresi i respiri e le grida di piacere.
Dopo che ha detto “ciao” io ho risposto con un
cordiale
– ben arrivati –
È un mese che sono qui, mi sembra quasi di essere uno del
luogo.
Onorina ha i capelli ricci e anche lei è magra come un
chiodo.
Ha una maglietta di almeno tre misure più grande della sua e
sotto non ha nulla.
Dalla scollatura e persino dalle maniche si intravede il seno. O almeno
quel poco che c’è da vedere perché
è
praticamente piatta.
Le gambe lunghe sono piene di punture di zanzare ed è
abbronzata. Non è proprio da buttare via. Peccato che sia
lesbica.
Ci leviamo velocemente di torno il rituale scambio di informazioni: di
dove sei, dove sei stata, ti sei fermata a Vilcabamba, vai verso la
Colombia, è un posto molto pericoloso, a nord
c’è
un paesino dove si sta tranquilli…
I suoi compagni di viaggio si sono seduti davanti alla capanna e
fumano. Non hanno ancora deciso che cosa fare. I loro bagagli sono
fuori dalla porta spalancata. Uno dei due ha un trolley. Un trolley non
è facile da vedere in viaggio. Un trolley è
scomodo.
Ma anche questo non sono fatti miei.
È di Bologna. Sono tre mesi che è in viaggio. Sta
risalendo dal Perù e vuole arrivare in Costarica.
Ha un appuntamento di massima a Quito per la fine di questo mese con
delle sue amiche.
Lesbiche anche loro?
Non posso chiederglielo ma probabilmente si.
Se io fossi lesbica, viaggerei con una lesbica.
Se entriamo in confidenza, poi, glielo chiedo come funziona tra di loro.
Si, il posto è tranquillo, bisogna solo stare attenti che
non ti
freghino lo zaino ma tu non hai problemi.
Ride ma probabilmente sta pensando – che battuta del
cazzo –
Per quanto ne so, le lesbiche disprezzano gli uomini, gli facciamo
proprio schifo con i nostri esagerati organi sessuali e con il nostro
chiodo fisso della penetrazione.
Quindi anche le battute gli faranno schifo. Meglio evitare.
Si mangia bene qui al “Pelicano”; Jorge fa un
“arroz
con camarones” da ribaltamento e c’è
Salsa a tutto
volume.
Più in là c’è anche un posto
dove i locali
vanno a ballare. Sono contenti quando andiamo a ballare anche noi con
loro.
E poi è incredibile vederli ballare: muovono il culo e le
ginocchia in un modo straordinario. Non riusciresti mai a imitarlo.
È uno spettacolo vederli.
Vederli ballare voglio dire.
Mi guarda e ho l’impressione che sia un po’
schifata.
Forse è una lesbica intellettuale e dovrei parlare di Garcia
Marquez che abita un migliaio di chilometri più a nord, a
Bogotà.
Forse pensa che ballare sia roba da fighetti anche se Marco, il suo
amico, sembra appena uscito da un “Kursaal” o da un
“Millennium” pieno di gnocche clamorose che si
agitano fino
a notte fonda.
Beh, non me ne frega un cazzo, tanto è lesbica e quindi gli
faccio schifo di “default”.
A me piacciono molto questi neri.
La musica ce l’hanno nel sangue e le donne mi fanno impazzire
perché ballano e sembra che stiano facendo l’amore.
Davvero.
Si muovono allo stesso modo: sinuose, calde.
Qualche sera fa sono rimasto fino a notte fonda ed ero ubriaco di
birra, di sole, di oceano.
La musica ha fatto il resto e a un certo punto c’era una
ragazzina che mi guardava.
All’inizio rideva: il gringo che cercava di ballare imitando
il
movimento delle ginocchia era buffo e anche un po’ patetico.
Poi grazie all’alcool e a quel senso di libertà
che mi
accompagna in questo viaggio, ho sentito la musica che mi attraversava
e ho lasciato che fosse lei, la musica, a muovere le braccia, le mani e
anche la testa.
La ragazzina continuava a guardarmi e sorrideva ma in un altro modo.
Allora le ho offerto da bere.
Poi ha cominciato a ballare davanti a me e sembrava che i suoi
movimenti fossero quelli di una amante consumata, una che sa che cosa
fare e come farlo. Era talmente chiaro cosa volesse da me che anche tra
i fumi della birra io percepivo il suo respiro un po’
affannato e
la vedevo già alla luce della luna, piena di sabbia, i seni
morbidi, la bocca aperta…
Poi mi sono accorto che c’era uno, suo fratello, un amico, il
suo
ragazzo, non so chi cazzo fosse.
Guardava con la faccia di uno a cui hanno appena strappato un rene per
regalarlo al peggior pezzo di merda del paese.
Ho detto alla barista di portargli coca e rum e mi sono messo seduto
con gli altri gringos. Anzi, facevo il cascamorto con Christine.
Lei, la ragazzina non capiva. Poi si è incazzata ed
è
andata via.
Più tardi è andato via anche lui ma prima si
è
fermato un attimo davanti a me e mi ha salutato incrociando i pugni
come fanno i neri da queste parti e mi ha anche detto “cevere
amigo”.
A queste cose bisogna stare attenti, anche quando sei ubriaco.
Se non le noti e se non eviti di fare cazzate poi finisce che ti rubano
lo zaino oppure rischi addirittura una coltellata. E non sta bene.
Passa Christine e mi saluta in castillano.
Lei è francese, di un posto a due passi da Parigi. Vuole
fare la
hostess ed è carina da morire.
Porta le trecce e ha il nasino all’insù proprio
come una
francese di un posto a due passi da Parigi.
Ma ha occhi solo per Miguel, il portoghese. Lui e Pablo hanno una casa
sulla strada per il paese, lavorano il corallo nero; poi andranno a
Otavalo a vendere la bigiotteria ai gringos e agli americani.
È proprio quando Christine mi da un bacio e poi si gira
sorridente verso Onorina e le dice “Hola” che vedo
un
rapido bagliore nei suoi occhi.
Vorrei anche vedere.
Christine è bella da morire, se lei è lesbica non
può restare insensibile.
Siccome sono un ficcanaso e quando ho un dubbio faccio di tutto per
levarlo dalla testa, guardo Onorina e indicando i suoi due amici dico:
– Non so chi dei due sia il tuo ragazzo ma sembra che non
abbiano
nessuna voglia di prendere possesso della capanna –
Una cazzata, ma lei abbocca subito.
– No, nessuno dei due. Non è il mio genere
–
– Avevo questo dubbio – dico e mi sento tanto
“hijo
de puta”
Lei sorride e forse è la prima volta che lo fa. O perlomeno
non
ha più lo sguardo un po’ schifato che aveva fino a
un
momento fa.
– si nota così tanto ? – dice
– solo se guardi – dico e indico col dito un
capezzolo che
è appena uscito in modo malandrino dalla scollatura della
maglietta, di tre misure troppo abbondante.
È proprio piatta ma i capezzoli sono da donna. Forse da
lesbica.
Lei come se niente fosse si aggiusta la maglietta e il capezzolo scuro
rientra nell’anonimato.
Devo aver superato una specie di esame perché lei tira fuori
una
busta di cellophane e un pacchetto di cartine.
– è meglio che ti metti dentro la capanna
– le dico.
Jorge non vuole che si fumi dentro il suo locale. Si incazza come una
bestia e poi cucina male l’arroz con camarones.
Lei ubbidisce e si siede sul pagliericcio a preparare uno spinello di
erba colombiana.
Fumiamo in silenzio e poi mi chiede se sono da solo.
Ha visto che ci sono due sacchi a pelo sul pagliericcio.
– c’è Giulia – e non le dico
altro.
Cosa si dice a una lesbica? Di cosa si parla?
Ho già sperimentato che la danza non è di suo
gusto e ora
come ora non ho molta voglia di fare paralleli tra Marquez e la Allende.
Non so se si può parlare di donne. Probabilmente non come
farei
con un uomo.
Lei mi solleva dal problema
Si alza, dice che è ora di decidere cosa fare da grande e si
incammina verso i suoi amici.
Le guardo il culo mentre va via. Ma tanto è lesbica.
L’erba era buona.
Mi siedo all’ombra.
Jorge ha acceso la radio. C’è Henry Fiol,
Oriente..
Resterò così, finché non
sarà passata la
calura.
E poi oggi non ho molto da fare.
Penso che sia quasi arrivata l’ora di muoversi da Atacames,
voglio arrivare a nord, a San Lorenzo.
Giulia è andata in paese per comprare gli assorbenti;
bisognerà parlarne.
Quando tornerà, le dirò che è arrivata
una
lesbica.
Non ne ho conosciute tante, anzi è la prima in assoluto.
Si, forse nella mia vita ne avrò incrociate ma senza saperlo.
Questa è la prima volta.
Quasi ci sarebbe da festeggiare.
“Un
pajarito herido, abandonado en el
mundo, con desespero profundo, vuela buscando su nido.
Totalmente perdido, como un ciego sin bastón, se le tiembla
el
corazón
y adivina hacia al monte y busca al horizonte con esperanza y
resignación.
Yo me voy a morir, yo me voy a matar,
mira negra me voy a morir, cosa buena me voy a matar”
(Henry
Fiol – Oriente)
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