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Riaprì
gli occhi e non riusciva a muoversi.
Non aveva idea di dove fosse e ci volle qualche minuto
perché le informazioni tornassero al loro posto dando
così un senso alla realtà.
Era sul pavimento della casa di Nicola.
Aveva sniffato eroina di un grado di purezza a cui probabilmente non
era abituato e aveva collassato.
Richiuse gli occhi per assimilare bene le informazioni e poi li
riaprì dicendosi che doveva andare via.
Sentiva il corpo come una entità astratta, qualcosa
appiccicato in modo approssimativo ai suoi pensieri e non sapeva se
fosse riuscito a muovere uno dei numerosi muscoli che avrebbero
sicuramente dato fitte dolorose.
Fece un respiro profondo e si girò di lato fino a riuscire a
fare contrasto con il gomito e alzare un po’ la testa.
La stanza stava girando in modo vorticoso ma era riuscito a rilevare
che era ancora vuota e che probabilmente non era passato molto tempo
perché la luce che filtrava dalla veneziana era ancora forte.
Si trascinò verso la sedia e poi riuscì ad
alzarsi e mettersi seduto mentre una nausea spaventosa gli
preannunciò che avrebbe vomitato di lì a poco.
Molto poco.
Fece uno sforzo e andò nell’altra stanza cercando
il lavandino che per fortuna era proprio dopo la porta.
Qualcuno aveva già avuto lo stesso problema e non aveva
avuto modo di pulire.
Aprì l’acqua e fece scorrere via gran parte del
vomito, compreso quello che probabilmente era di Elena.
Sentì che le forze stavano venendo meno un’altra
volta e si affrettò a tornare nella stanza e a sedersi sulla
sedia.
La testa gli ronzava ma tutto era al suo posto: Elena era ancora
immobile nuda sul letto. La polvere era al suo posto sopra lo specchio.
Quello che non andava bene era il suo cuore che aveva pause prolungate
tra un battito e l’altro tanto che per qualche minuto
restò ad ascoltare mentre un sudore caldo bagnava la sua
fronte.
Ma stava respirando e questo era un buon segno.
Si ricordò di quanto era successo un paio d’anni
prima. Aveva riaperto gli occhi e aveva visto Astrid riversa su di lui
con gli occhi pieni di paura. Gli disse che secondo lei lui era morto
per qualche minuto e solo le sue grida lo avevano risvegliato.
Non importava che quelle grida fossero dentro la sua testa. Era
riuscita a risvegliarlo.
Allora la sensazione forte era la difficoltà di respirare,
come un macigno posato sopra il petto.
La nausea nel frattempo si era spostata un poco sopra lo stomaco e da
un momento all’altro poteva scendere di nuovo.
Aveva un gran bisogno di sdraiarsi e tenere gli occhi chiusi ma
ovviamente il letto era occupato.
Quando finì di ascoltare tutte le grida che arrivavano
direttamente dai suoi organi, cercò di concentrarsi sulla
situazione che era notevolmente peggiorata.
Non avrebbe mai potuto sostenere di non aver toccato la polvere sul
tavolo.
Era evidente che ne aveva dentro in quantità industriale.
Doveva andare via ma dubitava fortemente che le forze sarebbero state
sufficienti.
Sarebbe bastato arrivare al bar all’angolo, sedersi al
tavolino, ordinare un the caldo e aspettare che una parvenza di
normalità fosse tornata per presentarsi nuovamente da Nicola
e concludere l’acquisto come se niente fosse.
Si alzò e resistendo alla tentazione di sdraiarsi sul letto
aprì la porta e uscì sul ballatoio.
Non incontrò nessuno e riuscì persino ad arrivare
qualche isolato più lontano in modo da non correre il
rischio di incrociare Nicola.
Infine si fermò sulla panchina dei giardinetti striminziti
che stavano in mezzo al traffico continuo della piazza e, con la
macabra ironia dei tossicomani, si disse che sulla panchina poteva
anche morire in pace.
Era così che morivano i veri eroinomani.
Mancava solo la siringa ancora infilata dentro il braccio.
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Elena
era morta.
Lo seppe il giorno dopo quando sulle edizioni pomeridiane dei due
giornali milanesi c’era una foto di lei con un sorriso dolce
come il miele. Era sicuramente una foto di quando era adolescente
perché aveva gli occhi pieni di futuro.
L’articolo, al solito, non era fatto per chiarire quali
fortuite concatenazioni avevano portato una ragazza giovane e carina a
morire di eroina. Al giornalista bastava la possibilità di
stabilire che era morta quando doveva ancora compiere i ventiquattro
anni e che il suo convivente era stato arrestato mentre su un treno
cercava di raggiungere una città del sud.
Stavano anche cercando chi aveva fornito la droga troppo pura.
Il corpo era stato scoperto a tarda notte quando qualcuno si era
chiesto come fosse possibile che la porta di casa fosse sempre aperta.
Qualcuno nel palazzo aveva notato un uomo che era uscito dalla casa, ma
non sapeva esattamente quando.
I ricordi dei vicini erano confusi dato il via-vai consueto di uomini e
di donne, e nessuno era in grado di stabilire tempi o dare indicazioni
di nomi e tantomeno descrivere persone.
C’era anche una foto del palazzo con la finestra della casa
di Nicola spalancata.
L’articolo serviva solamente per pennellare con la vernice
scura qualcosa che aveva invece altri colori.
Ma i tanti lettori volevano soltanto dire “va che
roba” scuotendo un po' la testa e al massimo aggiungere
“povera ragazza”, se proprio il cuore non era
coperto di peluria.
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Aveva
detto a Mauro di non aver trovato nessuno in casa e a sera inoltrata
era riuscito anche ad acquistare un po’ di roba in modo che
l’amico avesse di che nutrire la sua astinenza e soprattutto
lui potesse giustificare lo stato comatoso.
Sentiva di essere morto anche lui, ma che per qualche strano sortilegio
nessuno aveva trovato il suo corpo, disteso sul pavimento a pochi passi
dai capezzoli e dalle gambe lunghe di quella donna disperata.
Non si chiese mai che cosa sarebbe accaduto se avesse toccato il seno
di Elena, se si fosse accorto che non abitava più quel corpo.
Non aveva più importanza.
Doveva trovare un altro fornitore.
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