Il ragazzo
ripulì i contatti
della batteria con uno straccio polveroso e rimase a guardare il lavoro
fatto mentre il bambino era intento ad ammirare i suoi gesti rapidi e
precisi. Gli piaceva vedere la facilità con cui gli altri
riuscivano ad usare le mani.
Gli piaceva soprattutto quando osservava suo padre lavorare; magari
alla sua bicicletta, oppure mentre aggiustava qualcosa in casa. Lui non
riusciva a sopportare per lungo tempo i suoi continui movimenti, le sue
domande insistenti, il suo toccare ogni singolo attrezzo, ogni piccolo
chiodo. Al primo gesto di impazienza il bambino si spostava e guardava
da lontano. Poi, a poco a poco, si riavvicinava, affascinato dalla
capacità di piegare gli oggetti alla propria
volontà e felice per la possibilità di stare
vicino al padre. Inesorabilmente, esaurita la pazienza, il padre lo
obbligava ad andare via.
Con un poco di rammarico il bambino rivolgeva altrove il suo bisogno di
attenzione.
Quell'utilizzo delle mani però lo affascinava
perchè gli era sconosciuto; le sue erano nere di sporcizia,
a volte ferite o con le unghie scure per i colpi ricevuti. A malapena
riusciva ad usarle per le normali attività e sempre il
risultato non era entusiasmante.
I porta pennini in bachelite che usava per scrivere erano sempre
ridotti a mozziconi e spesso il tentativo di asciugare l'inchiostro
sulle pagine del quaderno aveva come risultato larghe macchie nere che
coprivano inesorabilmente gran parte del foglio.
Il ragazzo invece non
sembrava infastidito dalla sua presenza.
Quando la voglia di toccare le bobine del motore divenne insostenibile
il bambino allungò le mani facendo girare manualmente il
piccolo albero che finiva con un ingranaggio a denti grossi.
Il ragazzo si girò verso di lui e sorridendo disse che una
volta collegata la batteria non avrebbe dovuto infilarci le dita.
- Se tutto va bene la bobina girerà e se ci metti le dita ..
-
Fece un gesto con la mano come ad indicare che le dita sarebbero volate
via nella polvere del carrozzone.
Rise del suo gesto. Rise anche il bambino.
Il ragazzo si concentrò di nuovo, questa volta sui cavi
rossi. Li esaminò attentamente e poi strinse i morsetti su
due grossi bulloni saldati al piano di legno che faceva da base al
motore. Lentamente collegò le altre estremità
alla batteria.
Per qualche secondo non successe nulla.
Il bambino girò lo sguardo e vide l'espressione sorpresa sul
viso del ragazzo e i suoi baffetti che si mossero impercettibilmente.
Poi, con un gesto rapido, uno dei morsetti fu ruotato leggermente e
ronzando il motore cominciò a girare.
Fu un
inverno eccezionale per la neve. Il
nostro terrapieno diventò per noi meglio di Cortina.
Con le cassette della frutta ci lanciavamo lungo i pochi metri di
discesa dopo aver compattato la neve in maniera che assomigliasse ad
una pista.
Per risalire poi velocemente e ripetere l'impresa con gli abiti sempre
più bagnati.
Ovviamente le spigolosità delle cassette di legno non erano
il massimo per scivolare sulla neve e spesso si bloccavano contro sassi
o asperità del terreno.
Ma ci bastava. Ci faceva sognare le grandi piste da bob che avevamo
visto in televisione alle olimpiadi invernali e ci sentivamo dei
piccoli Monti con le nostre mani gelate e le scarpe assolutamente
inadatte alla neve.
Un pomeriggio la mia cassetta si ribaltò nel tratto
più veloce e istintivamente misi le mani avanti per
proteggere il viso. La poca neve nascondeva dei vetri di bottiglia che
entrarono profondamente nel palmo della mano sinistra. Il sangue usciva
e macchiava la neve sporca; nessuno si spaventava per il sangue e i
miei amici mi accompagnarono a casa quasi per proteggermi, per
garantire che era stato un incidente che poteva capitare a chiunque di
noi.
Il fatto che fosse capitato a me non li alleggeriva della
responsabilità e volevano tutti essere presenti. Eravamo un
gruppo e vivevamo insieme, a volte ci tiravamo i sassi, a volte ci
davamo le botte ma eravamo solidali e nessuno si sarebbe sognato di
lasciarmi da solo a sanguinare.
Quando la
neve si sciolse completamente e il carbonaio
cominciò a diradare le sue visite per portare le taniche di
cherosene per la nostra stufa puzzolente, vedemmo di nuovo i carrozzoni
del luna park che tornavano e subito il terrapieno cominciò
a
brulicare di persone, uomini che montavano le attrazioni.
Quella seconda volta aveva portato molte giostre in più:
c'era
l'autoscontro che avrebbe avuto un successo strepitoso tra quelli
più grandi che avevano l'opportunità di abbordare
le
ragazze al riparo della loro timidezza. C'era la mia preferita: gli
aeroplani che si alzavano in "volo" con una leva. Si sparava agli altri
aerei con due cannoncini rumorosi piazzati nella parte anteriore
dell'abitacolo.
Dovevi mirare alle luci sotto gli aeroplani: quando riuscivi a colpirle
si spegnevano e il piccolo abitacolo scendeva a terra e solo dopo
qualche secondo riprendeva energia per poter risalire e partecipare di
nuovo alla battaglia. Alla fine chi rimaneva in alto per ultimo vinceva
il diritto di fare il giro successivo senza pagare. Non era chiaro il
meccanismo che portava un aereo a colpire un altro perchè
ovviamente non veniva sparato nulla. Qualcuno diceva che era l'addetto
alla cabina che decideva chi restava su. Io mi appassionai
così
tanto che negli anni successivi a volte il proprietario mi utilizzava
per il ritiro dei biglietti ed era per me un ruolo di assoluto potere e
prestigio.
C'era poi l'antro della paura, con vagoncini che passavano al buio tra
ragnatele e manichini che dovevano spaventare i viaggiatori,
soprattutto le ragazze.
Quell'anno c'era anche la casa degli specchi, un labirinto divertente
con le proprie immagini deformate; non ebbe un grande successo e non
tornò negli anni successivi.
Non appena finì il lavoro di istallazione delle attrazioni
ci
rendemmo conto che qualcosa di nuovo stava succedendo: le ruspe stavano
spianando la parte laterale del terrapieno e molti camion continuavano
a stazionare nel parcheggio. Oltre al luna park quell'anno avemmo la
fortuna di avere il circo di Darix Togni.
Per noi bambini delle Varesine era una nuova eccitante avventura. Era
più difficile avvicinarsi al centro delle operazioni, il
circo
aveva animali anche di grandi dimensioni che dovevano essere messi in
assoluta sicurezza e quindi c'era una barriera che non era facile
passare. Ma noi tutti eravamo pazienti e soprattutto avevamo tempo e
passavamo tutti i nostri pomeriggi a guardare il via vai di artisti che
passavano nella parte posteriore del grande tendone per gli spettacoli
pomeridiani. Vedevamo i vestiti colmi di lustrini e i pagliacci con i
loro visi colorati.
Un giorno eravamo come d'abitudine a bighellonare nei pressi della
transenna che impediva l'accesso all'area di lavoro. Un uomo venne e ci
scrutò con aria attenta. Scelse Carannante,
indicò un
altro bambino di cui non ricordo il nome e poi magicamente si rivolse a
me. - Venite - disse, e aprì la transenna per farci passare.
Increduli ci guardammo ma nessuno di noi ebbe il minimo tentennamento:
avevamo sognato per giorni e giorni di passare il confine ed entrare in
quel mondo misterioso di cui non sapevamo niente.
L'uomo si incamminò veloce verso l'ingresso posteriore del
tendone dicendoci di seguirlo. Eravamo stupefatti, i nostri
occhi
erano sgranati sulle gabbie che contenevano gli animali feroci; c'era
addirittura un piccolo elefante che veniva pulito da un uomo con una
spazzola enorme e appoggiato su un baule, di fianco, c'erano i
paramenti con i colori sgargianti che avrebbero addobbato l'animale per
lo spettacolo. C'erano cose che non avevamo mai visto e avremmo passato
ore e ore ad esplorare ogni angolo di quel mondo sconosciuto.
L'uomo che ci aveva resi degli eletti invece entrò
velocemente
nel tendone e non potevamo fare altro che seguirlo.
Quell'ingresso non conduceva direttamente nella pista dove si
svolgevano gli spettacoli: era una specie di anticamera molto ampia
dove gli artisti davano gli ultimi ritocchi ai costumi prima di entrare
in scena. Ad uno dei lati l'uomo ci mostrò dei secchi
colorati
che contenevano una sostanza bianca.
Ci mostrò dei lunghi cucchiai di legno e con brevi
istruzioni
capimmo che quella sostanza era sapone e quello che si aspettavano da
noi era la produzione di schiuma da barba. Era un po' come fare lo
zabaione. Dovevamo montare quel sapone mischiato con un poco di acqua
fino a che si produceva una morbida spuma candida che sarebbe poi
servita ai pagliacci per i loro esilaranti numeri di torte in faccia.
La ricompensa per quel lavoro era assistere allo spettacolo senza
pagare, ma noi avremmo fatto qualsiasi cosa solo per essere li dove
eravamo: nel centro esatto di quel mondo affascinante.
Molte volte venivamo scelti per piccoli lavori e dopo qualche tempo il
personale del circo ci riconosceva e ci permetteva di entrare nelle
zone di lavoro anche se non avevamo incarichi precisi.
Il circo era decisamente più interessante del luna park:
c'erano
gli animali feroci e i loro domatori ci sembravano abitanti di un altro
mondo o Dei immortali che potevano infilare la loro testa nelle fauci
di una tigre senza timore, senza paura.
Io adoravo i trapezisti perchè il loro volteggio sopra le
teste
della gente mi sembrava quanto di più simile al volo avessi
visto... Mi piacevano i costumi scintillanti e restavo incantato dalla
precisione degli appuntamenti che le mani, le loro mani, riuscivano a
rispettare al millesimo di secondo: un braccio veniva allungato e una
mano aperta nel preciso istante in cui il volteggio aveva portato un
altro braccio e un'altra mano esattamente nel posto giusto.... Ero
affascinato dalla precisione dei movimenti e dalla inutilità
della rete che li proteggeva.
Qualche anno dopo con il circo arrivò un enorme signore
americano, John Massis. Un uomo corpulento con la faccia da bambino e
radi capelli che gli arrivavano alle spalle. Il suo numero era
l'attrazione principale e consisteva nel trattenere due moto lanciate
in prima marcia che sgommavano e alzavano i trucioli di legno della
pista principale nel tentativo di sfuggire alla morsa d'acciaio di una
corda serrata con i denti. Era portentoso e noi che lo vedevamo fare le
prove prima dello spettacolo potevamo apprezzare la totale assenza di
trucchi. Divenne famosissimo e riuscì addirittura a
trattenere
una locomotiva con i suoi denti forti come maciste. Noi pulivamo le sue
moto dal fango e dai trucioli di legno e ci sentivamo talmente fieri
del nostro lavoro che avevamo cominciato a sentirci degli eletti. Noi
lavoravamo per John Massis e gli altri bambini potevano solo
invidiarci.
L'americano, come un Cody qualsiasi, sparì e non
tornò
più negli anni successivi. Rimase un racconto epico tra noi
bambini che l'avevamo conosciuto e le sue moto scintillanti ci
mancavano. Poi, piano piano, il suo ricordo si sbiadì e la
magia
del circo e del luna park si trasformò nella noia e nel
tedio di
domeniche passate a bighellonare tra le attrazioni senza più
godere neanche del privilegio di raccogliere i biglietti agli
aeroplani.
Cominciavamo a passare il nostro tempo all'autoscontro e cominciavamo
ad interessarci alle ragazze che ridevano e urlavano, con i loro
capelli lunghi, le loro vocine gentili e i loden verdi.
E in quel campo non avevamo transenne che qualcuno avrebbe aperto, non
avevamo ruoli conosciuti, Eravamo spaventati e affascinati da quegli
strani esseri che improvvisamente avevamo intravisto e i loro sorrisi
ci erano piaciuti più dei giocolieri. Mai saremmo riusciti a
rivolgere loro la parola, sarebbe stato più facile infilare
la
testa nelle fauci spalancate della tigre.
Una nuova avventura stava cominciando.
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