La
camerata
è buia
e silenziosa. Anche il suo box è buio e per un attimo penso
di avere fatto tardi: forse Elena sta già dormendo, forse
l'attesa è stata troppo lunga. Richiudo
la porta senza far rumore e guardo attentamente i letti dei bambini.
Nessuno si muove. Sono addormentati, vinti dalla stanchezza di una
giornata intera passata tra il sole caldo di settembre e la terra
dolce di questo luogo pieno di vento.
Mi muovo e piano mi dirigo verso il box. Ho quasi paura di
trovarla addormentata. Aumenterebbe il mio rammarico per una giornata
intera buttata via, persa inseguendo una vergogna di cui adesso non ho
più ricordo.
Quando sono davanti ai teli bianchi mi fermo e lancio un ultimo sguardo
alla camerata come per accertarmi che nessuno veda, che nessuno possa
immaginare quello che succede. In realtà non so cosa
mi aspetti oltre la tenda: non ho coscienza che qualcosa
possa o debba accadere. Troverò lei, questo è
sicuro, e vorrei riassaporare il lungo brivido che mi
ha regalato la sua bocca; vorrei capire che cosa sono quelle
sensazioni che mi hanno avvolto e trasportato per un lungo attimo in
una condizione sconosciuta.
Sento però che quello che sto per fare è un
passo molto più lungo dello spazio fisico. La distanza
che mi separa da lei è niente rispetto agli orizzonti
sterminati e affascinanti che il suo bacio di ieri mi ha fatto
intuire. I teli bianchi non sono solamente il riparo della sua
intimità: questa sera sono il confine tra due mondi. Tutto
questo mi è chiaro senza che ci sia bisogno di elaborazioni
mentali; come
informazioni preesistenti che affiorano nel momento stesso in cui la
loro necessità si manifesta.
Non ho paura. Mi batte il
cuore ma non ho paura.
Apro la tenda e i miei occhi già abituati al buio colgono
subito lo scintillio dei suoi. Elena è sul letto nella sua
consueta posizione: le gambe raccolte di lato, il gomito che affonda
nel cuscino, un braccio abbandonato lungo il corpo. Ha una maglia scura
chiusa da bottoni che quasi brillano nel buio e una gonna che lascia
scoperte le ginocchia.
E' girata verso di me come se quello fosse il segnale convenuto per
ammettermi
nel segreto della sua stanza, in quel suo piccolo dominio privato.
Non si muove e solo lo scintillio dei suoi occhi mi ha accolto. Ma
è stato sufficiente a diradare tutti i dubbi.
La tenda si è richiusa dietro di
me e sono rimasto un attimo immobile, come il buio che mi circonda.
Devo assorbire l'immagine di lei sul
letto che mi aspetta. Devo imprimerla in una memoria
indistruttibile con tutti i dettagli più insignificanti: il
libro chiuso, parzialmente nascosto dal cuscino, le calze di
nylon che al buio hanno un che di scintillante, i suoi capelli
neri raccolti e legati con un sottile nastro bianco. E poi il suo
profumo... sento il suo profumo. E' un odore dolce e aspro allo stesso
tempo. Non è profumo, non è afrore. E' legna,
muschio, fumo di foglie secche bruciate lungo i campi. E' pioggia di
settembre che bagna la polvere arsa dall'estate.
Mi muovo verso di lei con una sicurezza che mi sorprende. Lei allunga
le sue gambe e si sposta di lato allargando le sue braccia e come
d'incanto siamo di nuovo insieme, stretti, abbracciati e le labbra che
a lungo avevo rimpianto sono li, sono per me. Ma stasera c'è
qualcosa di diverso rispetto a ieri. C'è una forza che viene
da dentro, un tuono che urla dal profondo. Anche lei sembra avere
questa sete inarrestabile e
non ci sono pause tra un bacio e l'altro. Non c'è tempo di
guardarsi, non c'è nulla che dobbiamo dirci. L'urgenza e
forte e brucia come un fuoco immenso che divora tutto quello che
attraversa e dobbiamo fare in fretta. Così le mie mani
guidate da chissà quali informazioni, cercano frenetiche la
pelle e le dita perdono un tempo inimmaginabile per slacciare i bottoni
che si ergono ad ostacolo di un desiderio sconosciuto e sconvolgente.
Anche lei sembra mossa dalla stessa frenesia e le sue mani sono sotto
la mia camicia e premono calde sulla mia pelle. E infine la sorpresa
del suo seno, la sorpresa di gesti che nessuno mi aveva mai insegnato e
che erano inimmaginabili fino ad un momento prima. Il suo seno sotto le
mie dita, la mia bocca che si ciba del morbido candore della pelle e le
mie labbra che si ritrovano a giocare dolcemente con i suoi capezzoli
che sono rigidi e hanno un odore proprio. Lei mi sfila la camicia ed
ecco che un'ondata immensa mi travolge quando mi accorgo che la mia
pelle ora aderisce alla sua e sento i suoi capezzoli che s'insinuano
tra le mie povere ossa magre di ragazzino. Devo prendere fiato e allora
mi fermo e la guardo. Ha gli occhi chiusi e il respiro un poco
accelerato. Non riesco a chiedermi da dove venga questa conoscenza di
gesti e di movimenti. Quello che devo fare lo so perché
desidero di farlo. E lei è lì solo per me. Elena
apre gli
occhi quasi preoccupata dal prolungarsi della mia pausa. Resto
a guardare i suoi occhi, quello sguardo che ora non mi mette in
imbarazzo. E' bello avere la sua pelle sulla mia e i suoi occhi che mi
guardano. Ora l'istinto mi porta a scoprire cosa c'è oltre
quella soglia e continuo ad essere sorpreso del mio ardire, dei miei
gesti che sembrano essere esattamente quelli giusti tanto che Elena
è lì con me e mi asseconda. La sua gonna offre
meno
resistenza; le sue calze scivolano via e cadono sul pavimento e d'un
tratto mi rendo conto che lei è nuda ed è
bellissima e per la prima volta mi chiedo se sto sognando. Questa breve
distrazione mi fa pensare anche al fatto che siamo nudi e stiamo
facendo l'amore in una camerata dove dormono venti bambini. Se qualcuno
ci scoprisse verremmo espulsi entrambi; non so
perché ma ho la certezza che lei stia correndo il rischio
maggiore.
Poi si spalancano per me le porte di questo nuovo mondo e vengo
sopraffatto da emozioni che non potevo neanche immaginare. Di nuovo i
gesti totalmente inconsapevoli che mi guidano verso di lei, dentro di
lei, gli occhi sono chiusi e tutto il mondo fuori non esiste
più. Attraverso quella porta io e lei siamo una cosa sola,
abbiamo un solo cuore, un solo respiro, un solo pensiero. Forse
è lei che mi sta guidando o forse siamo davvero ancora
dotati di un istinto che prescinde dalle nostre esperienze e
conoscenze. Nessuno mi aveva mai detto nulla; quello che sta accadendo
non avrei potuto neanche immaginarlo. Eppure qualche secondo prima
dell'esplosione di un piacere sconosciuto l'istinto mi dice che non
posso rimanere dentro di lei. Elena mi stringe ancora
più forte e i nostri respiri cominciano a inciampare e
rotolano per strade diverse. Dobbiamo trattenere il fiato il
più possibile, nessuno di noi due sa quanto rumore abbiamo
fatto. E poi abbiamo una voglia matta di ridere e non possiamo farlo
perché sarebbe troppo simile ad un grido. Restiamo
abbracciati finché il respiro torna ad essere tranquillo e i
pensieri tornano ad occupare il territorio da dove erano stati
scacciati dall'onda che mi ha travolto.
Il pensiero che possano scoprirci mi punge e allora le dico di
vestirsi. Non sembra sorpresa e non sembra neanche arrabbiata per il
tono un po' pressante e autoritario della mia voce.
Poi mi torna un pizzico della vergogna che mi aveva allontanato da lei
per tutto il giorno. La scaccio via e mi sdraio di nuovo di fianco a
lei. Mi sento come un viaggiatore che ha appena chiuso la porta che lo
separa dall'incredibile luogo raggiunto dopo un lungo viaggio. Il
momento privato in cui riassaporare le emozioni, richiamarle per
rielaborarle, rivederle, riassaporarle in un diverso sentire rispetto a
quello grossolano e indispensabile permesso dai cinque sensi. Ma
a differenza del viaggiatore, io ho di fianco a me quel mondo di
emozioni.
Penso che sarebbe bello addormentarmi vicino a lei. Mi giro a guardarla
e vedo che ha gli occhi chiusi. Mi rendo conto che non ci sono state
parole e non ci possono essere ora parole. E' tutto così
chiaro. Forse Elena dorme davvero, forse mi sono addormentato anch'io.
Mi alzo e vedo che lei non si muove. Resto a guardarla ancora qualche
momento e non ho pensieri che mi attraversano. Penso solo che sia
bella da morire. Prendo la coperta e mentre la stendo lei
apre gli occhi e il suo sguardo è il più dolce
che abbia mai visto. Questo pensiero mi accompagna fino al mio box e un
secondo prima di addormentarmi mi assale un'onda di tristezza che non
capisco.
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Il
controllo radiografico del padre di
Maddalena ebbe esito negativo.
Lei si tranquillizzò tornando ad essere una persona di
grande equilibrio. Non le dissi mai nulla di quello che era accaduto
quella sera e tutte le sere successive fino alla fine del turno. Era
qualcosa che andava oltre l'amicizia che ci legava. Anche al mio
ritorno a Milano fui molto vago con Daniele, il mio amico storico.
Ovviamente aver fatto l'amore con una ragazza più grande di
me era una notizia che non potevo tenere dentro. Ma non raccontai mai
di Elena, non feci mai il suo nome. Nessuno ovviamente poteva
conoscerla, nessuno poteva incontrarla ora che ero di nuovo nel mio
habitat milanese. Ma le riservai una discrezione che, sono sicuro, le
avrebbe fatto piacere. Non avevo molto altro da dare in cambio di
quanto avevo ricevuto. Per molto tempo mi sono chiesto che cosa Elena
avesse trovato in quel ragazzino magro e presuntuoso. Il giorno in cui
gli autobus portarono via me e tutti gli altri bambini lei aveva gli
occhi rossi di pianto e io non sapevo assolutamente cosa fare, cosa
dire. Quello che era successo era una cosa troppo più grande
di me per avere parole da dire o gesti. Sono certo che conoscesse i
limiti di quello che ci accadeva. Le mandai una cartolina da Milano e
mi rispose con una cartolina che aveva come immagine un cane al quale
erano state aggiunte delle corna a penna. La cartolina diceva solo
"cari saluti" e la firma per esteso, nome e cognome. Non sapevo come
leggere tutto questo e non cercai più di contattarla.
Tornai un paio di volte al Lago con gli amici della compagnia. Rividi
Maddalena ma con il tempo si diradarono le lettere e anche l'ultimo
legame con quegli anni si esaurì.
Sono tornato in quei luoghi qualche anno fa. Mi sono seduto ad un
tavolino della piazza di Borgo guardando i visi delle persone che
passavano. Poi sono andato alla colonia che è diventata una
casa di riposo per anziani. Non ho avuto il coraggio di entrare. Mi
sono seduto nella piazzetta del paese ripensando ai suoni, agli odori,
alle voci di quegli anni. Li avevo dentro. Erano parte di me.
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