Ormai
coltivo la certezza di trovarti e questa sensazione è
strana.
Pensavo che avrei passato le mie notti a bestemmiare chiedendo
a dio o a chi per lui di cancellare il buio della notte in modo che il
chiarore mi permettesse di correre da te, sedermi ad aspettare con il
respiro corto e il cuore devastato dentro il petto.
Invece resto qui a
respirare questo mare come se tutto il tempo fosse soltanto un attimo
gravido d’attesa, pieno di te.
Quasi assaporo questa nuova
urgenza dei tuoi occhi come se fosse un vino prelibato, da sorseggiare
lentamente.
Tanto lo so che tornerai.
Se sei arrivata fino a qui
è perché mi cerchi, perché hai bisogno
di sentire nuovamente le mie mani sulla pelle e anche se questa
certezza mi stupisce non ho l’urgenza, non ho
l’assillo.
Forse ho solo la paura.
Forse dietro questo
stupore c’è un lieve senso di sgomento o forse di
rammarico per tutto questo tempo passato ad aspettare il tuo passaggio,
nascosto dietro il mio dolore, celato dalla rabbia.
Forse mi rendo conto che avrei potuto veramente attenderti sotto la tua
finestra e poi portarti in una casa con le pareti spesse e i muri
intonacati, farti sedere sul terrazzino che guarda direttamente dentro
la mia vita.
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Ed
eccomi qui, di nuovo.
L’uomo del bar oggi non ha portato
niente e il tavolo ha resti di croissant e mozziconi schiacciati dentro
un portacenere di vetro.
Dopo le notti passate ad ascoltare la voglia
di vederti ora non guardo altro che la distesa immensa di questo mare
dove vorrei affogare queste emozioni che hanno smosso polvere e detriti
nel luogo dentro di me che ti appartiene.
Non riesco più a
voltarmi, sai, non so se ho paura di trovarti o se il terrore
è non vedere più i tuoi occhi.
Ma devo
controllare e voglio anche vedere se l’uomo del bar si
è finalmente accorto della mia presenza.
Così
riapro gli occhi e in lontananza vedo che stai camminando con il tuo
passo lento e il tuo giubbotto gettato sulle spalle.
Forse stai andando
via e non ti sei accorta che io sono seduto qua ad aspettarti.
Sembra
che oggi nessuno sia in grado di vedermi.
Mi alzo e cerco di
raggiungerti, anche se questo, mi rendo conto ora, vuol dire che
dovrò parlarti, chiederti dove stai andando, se stai
cercando me o se semplicemente hai deciso che non
c’è più davvero niente che valga la
pena di vedere.
Arrivi fino al porto e poi vai verso la parte vecchia del paese.
Ti
seguo mentre continui a camminare, fino alle mura vecchie e un
po’ scrostate che servono a proteggere viali alberati e
ballatoi pieni di luci e di dolore.
Che cosa cerchi qui?
Questo non
è un luogo adatto a te e poi non hai nemmeno detto una
parola, non mi hai guardato, non mi hai considerato; eppure io ho
vissuto tutta la vita ad aspettarti, sognando il giorno in cui ti avrei
incontrato.
Mi fermo un attimo a riflettere sulla stranezza di questo
luogo inusuale e tu scompari, ti perdi dentro i viali silenziosi.
Devo
raggiungerti, non è possibile lasciarti andare sola, non in
un luogo come questo.
Entro e ti vedo: sei ferma in uno dei vialetti
quasi nascosta da una siepe: lo sguardo è rivolto verso il
basso, le mani che stringono un po’ troppo forte il tuo
giubbotto.
Io mi avvicino e so che ora non posso fare altro: devo
parlarti.
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– Che
cosa fai qui ? –
La voce inciampa, sdrucciola, esce dalla
mia bocca e rotola via.
Ha un suono falso: sembra costretta,
spaventata.
Tu invece sei sempre assorta e silenziosa.
Vorrei toccarti, gridarti
che sono qui, che ti amo ancora come in quel freddo capodanno quando ti
ho visto per la prima volta.
Invece rimango fermo, ti guardo dritto
dentro gli occhi.
– Mi manchi tanto, sai –
È la
tua voce e mi travolge come se fosse un’onda che spazza via
qualsiasi cosa incontri.
Devo raccogliere il respiro, devo fermare il
cuore che sta esplodendo dentro il petto.
– Anche tu mi sei mancata da
morire – già sento le lacrime
che riempiono i miei occhi.
– Io ho sperato a lungo che tu potessi perdonare la
mia
fragilità e ho provato così tante volte a
scriverti a raccontarti, senza riuscire mai a superare le mie paure
–
– Ero
smarrito, ero confuso, addolorato. Io non ho mai provato questo
dolore atroce, io non sapevo cosa fare, avevo un furore spaventoso che
mi toglieva il fiato –
– Lo so, ti ho fatto male –
– Si, un male spaventoso
– Mi sembra di sentirlo: dolore,
smarrimento…
– Io lo sapevo che la tua rabbia era accecante, so che non
avresti mai
potuto perdonare –
Vorrei abbracciarti, farti sentire che dentro di me ti ho perdonato.
Forse non lo ricordi ma una sera a occhi chiusi lo abbiamo promesso
l’uno all’altra:
– Perdonami il male che ti ho fatto – ti ho detto
– Anche tu – mi hai risposto.
E io ancora non sapevo l’enormità di quello che
dovevo perdonare.
Ancora non sapevo l’enormità di quello che dovevi
perdonarmi.
– Ti ho aspettato per tutta la mia vita e questo tempo sembra
volato
via ora che ti ho qui davanti –
– Io non sapevo come parlarti, come poterti dire che non
volevo farti
male e che senza di te io non potevo nemmeno immaginare di riuscire a
vivere. Io non sapevo più dove trovarti... –
– Mi
sei mancata così tanto amore mio ma il dolore e la paura
erano troppo forti, più forti del bisogno dei tuoi occhi
–
Perché non riesco a sciogliere il ghiaccio che
mi ha preso il cuore?
Sei qui vicino a me, mi stai parlando eppure non
mi guardi ed io vorrei abbracciarti, lasciare che sia il corpo a dirti
quello che sento dentro.
Ma è come essere legati da fili
misteriosi.
– Guardami, ti prego, dimmi che mi ami –
è quasi
un grido, è quasi una implorazione.
E invece non mi guardi e fai un gesto incomprensibile: ti abbassi e
lasci qualcosa sul pavimento e subito dopo te ne vai lasciandomi
confuso.
Poi guardo in terra e vedo quello che hai lasciato.
Fiori di campo legati con un nastro bianco.
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La
casa è appoggiata sulle rocce e ha
mura spesse.
Il
terrazzino guarda direttamente il mare e passo il mio
tempo respirando, gli occhi socchiusi, perso dentro il ricordo
di una voce.
Ora lo so che
presto il vento porterà via il dolore.
Aspetto senza timore e so che la paura volerà via e
si mescolerà ai sogni di tutti gli uomini che hanno
attraversato il mare.
Quelli che lo hanno respirato cercando di fermare lacrime e malinconie.
Quelli che avevano un dolore così forte da non riuscire
più a vivere.
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