Elena
era seduta sul letto e stava leggendo un libro.
Aveva spostato
leggermente la tenda bianca e mi aveva seguito con lo sguardo mentre mi
avvicinavo al box.
Senza chiedere il permesso entrai nel
piccolo ambiente delimitato dalle tende.
C'era un armadio in legno la cui unica anta era corredata da uno
specchio e sotto c'era un cassettone. C'era spazio anche per un piccolo
tavolo e vicino al letto il
comodino con una lampada che irradiava una luce molto efficace. il
letto era in ferro e aveva una grande spalliera. Era più
grande dei lettini riservati ai bambini e soprattutto aveva due
cuscini, dotazione
che avevo invidiato molto quando ero solo uno dei tanti.
Elena mi guardò e sorrise. Le dissi che ero passato a dare
la
buonanotte. Continuava a sorridere e chiese se fosse il mio compito
principale quello di dare la buonanotte alle assistenti. Rimasi un po'
sorpreso dalla sua domanda. Anche un po' impaurito e
risentito. Dopo i giorni passati con Alessandra cercavo di fare
amicizia con le assistenti.
Erano ragazze a volte di pochi anni più grandi
di me: Elena aveva diciannove anni, Maddalena uno di più;
era facile entrare in confidenza. Erano
lontane da casa e dai loro affetti e avevano a che fare con bambini. I
miei quattordici anni erano per loro garanzia di correttezza nelle
relazioni ma anche stimolo per discorsi seri. Avevo sempre bisogno
di attenzioni anche se i termini erano diversi da quelli di due anni
prima.
Le risposi che cercavo solo di essere gentile e feci per andarmene. Lei
mi fermò e disse che non voleva essere
scortese: era solo incuriosita
dalla mia presenza e voleva conoscermi. Mi indicò la sedia
incastrata sotto il tavolo e
si sedette a
gambe incrociate sul letto appoggiando il libro sul comodino. Le dissi
che era il terzo anno che venivo al lago e che la Signora
Bianca era un'amica di famiglia. Avevo vari compiti come quello di
controllare che nei bagni ci fosse la carta igienica e che quindi il
mio girare per le camerate era anche una sorta di controllo della
situazione.
Ovviamente, a parte la carta igienica, il resto era frutto della mia
fantasia o almeno abbellivo il mio stato di ospite pagante e
semi libero. Parlammo qualche minuto, lei mi fece molte domande sulla
colonia, sulle
disposizioni, sulla Signora Bianca. E a poco a poco la prima sensazione
di disagio si tramutò in
una
soddisfazione totale per l'importanza e l'attenzione che Elena mi stava
riservando. La
salutai e
approfittai
dell'occasione per mettere in atto il mio piccolo trucco. Per
entrare in confidenza con le assistenti facevo finta di sbagliarmi
passando improvvisamente al "tu" invece del "lei" che allora dovevamo
osservare con i grandi. Mi correggevo poi con enfasi con un "lei"
fin troppo esagerato e quasi sempre mi veniva concesso il "tu". Anche
Elena, sorridendo, mi disse che potevo tranquillamente considerarla
un'amica approvando la nuova confidenza.
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Qualche volta il trucco non aveva
funzionato e le persone erano rimaste trincerate dietro il loro ruolo
senza concedermi nient'altro che saluti a volte anche un po' distanti.
Era successo con Rita al turno di agosto dell'anno precedente: mi aveva
risposto seccamente che dovevo continuare a darle del "lei".
Dopo una
settimana si avvicinò e
disse che mi aveva giudicato male: le avevano detto che io facevo la
corte a tutte le assistenti e quindi aveva preferito mantenere le
distanze. Poi mi aveva osservato e aveva visto che ero solo
un ragazzino e aveva notato anche che mi davo da fare per aiutare gli
altri. Rita era alta, con i capelli neri tagliati corti e aveva uno
sguardo
dolce e malinconico. Sembrava sempre pensierosa o distaccata ma i suoi
occhi scuri osservavano tutto quanto con attenzione.
Una sera ci ritrovammo a parlare di noi, dei
nostri sogni. Ci mettemmo a fantasticare su cosa avrebbe potuto essere
la
nostra vita se fossimo riusciti a diventare ricchi e famosi. Eravamo
tutti e due d'accordo che avremmo
viaggiato in ogni angolo del mondo.
Le raccontai delle mie paure e lei
mi raccontò di un ragazzo che le piaceva ma che non sembrava
accorgersi di lei. Parlammo e ridemmo tutta la notte senza che il sonno
turbasse le nostre confidenze. Provavo una gioia immensa e mi
sentivo grande come lei e lei probabilmente si sentiva piccola con
tanta voglia di ridere. La mattina
ci trovò esausti, vicini, quasi abbracciati.
Se avessi avuto qualche anno in più Rita non mi avrebbe mai
concesso tanta intimità.
Se avessi avuto qualche anno in più la notte non sarebbe
stata spesa solo per parlare e ridere.
Mi sembrava che Rita fosse come Alessandra e continuavo a chiedermi
perché era così facile trovare in quel luogo
quelle persone che mi davano così tanta felicità.
A Milano non c'erano, non le trovavo, non le incontravo. A Milano c'era
l'oratorio con il piccolo cortile dove giocavamo a calcio e le ragazze
erano recluse con le Suore in una specie di scantinato. Non riuscivamo
mai a vederle e quando, incuriositi, ci avvicinavamo, ci pensava Suor
Giuseppina a farci scappare con le sue grida stridule. Incontravamo le
ragazze solo fuori, per strada. Erano talmente intimorite dalla piccola
suora pestifera che si guardavano
intorno per controllare che non
apparisse per incanto con i suoi occhi fiammeggianti e la spada
sguainata a tutela della virtù delle povere pecorelle.
Qualche anno più tardi avremmo
provato a creare un gruppo giovanile con l'intenzione di riunirci,
maschi e femmine, in una delle sale della parrocchia per piccoli
progetti di teatro. Volevamo semplicemente avere la
possibilità di vivere e crescere insieme ma Suor Giuseppina
oppose una
fiera resistenza. Avremmo dovuto passare sul suo cadavere per ottenere
quanto richiesto e tutti noi avremmo volentieri messo in atto i
necessari passi. Preferimmo invece abbandonare l'oratorio e riversarci
in
strada e le ragazze seguirono piano piano il nostro esempio esasperate
dall'ottusità.
Quando finì il turno la Signora Bianca mi chiese se
desiderassi rientrare a Milano per passare con i miei genitori
i due giorni di sosta tra un turno e l'altro.
Non ebbi esitazioni: rimasi nella Colonia godendo del silenzio e dei
grandi
ambienti deserti. Con me rimase Emanuela, anche lei ospite pagante. Non
l'avevo notata per tutto il mese di agosto; era stata
inserita in una squadra e la sua assistente, Paola, era una di quelle
che non mi aveva mai concesso niente di più che un freddo
saluto.
Ci ritrovammo soli nell'immenso parco e non potevamo avere diffidenze o
timidezze. Passavamo il nostro tempo sul muretto che
delimitava il grande cortile a chiacchierare e giocare con i noccioli
di pesca. Era simpatica con i suoi codini e le lentiggini. Aveva
quattordici anni, uno più di me e avrebbe frequentato la
terza media. Sua madre lavorava nello stesso ufficio della Direttrice
ed era questa la ragione per cui anche lei godeva di due mesi in quel
paradiso di tranquillità.
Quei due giorni interi passati con lei mi fecero uno strano effetto.
Non vedevo l'ora che sparissero tutti quanti, risucchiati dai loro
compiti per restare solo con lei. Ero completamente rapito dagli
sguardi un po' maliziosi di Emanuela che mi faceva domande strane a cui
non sapevo rispondere o che semplicemente non capivo. Tutto quello che
lei voleva, fosse un gioco o una passeggiata, mi trovava pronto ed
entusiasta e mi chiedevo come mai quello che lei proponeva era
esattamente quello di cui avevo incredibilmente voglia e anzi mi
stupivo che fosse stata lei per prima a dirlo.
Insomma ero cotto a puntino.
Quando arrivarono i bambini del turno di settembre la Signora Bianca mi
disse che avrei dormito in un box nella camerata grande. Non ero
più assegnato ad una assistente come era capitato con Rita.
Nel box principale c'era Susanna, una ragazza timida e introversa
che fu contenta della mia presenza. Sembrava non avere una
grande passione per i bambini, svolgeva i suo lavoro al minimo
sindacale, quasi come se avesse qualcosa più importante che
da un momento all'altro avrebbe dovuto fare. Susanna mi piaceva molto
perché era visibilmente contenta
della mia presenza e aveva l'abitudine di dimostrarmi gratitudine con
piccoli ma significativi gesti, come abbracciarmi oppure dirmi grazie
- non so proprio cosa farei se non ci fossi tu -. E io mi
sentivo bene. Le raccontai di Emanuela e subito fu entusiasta della mia
cotta. Mi
dava consigli e cercava anche di spiegarmi le cose che io non capivo:
mi disse che le ragazze, quando erano innamorate, si comportavano in
maniera particolare. Si aspettavano attenzioni ma non
si doveva mai esagerare. Sembrava che ci fosse un limite che non doveva
essere
sorpassato altrimenti si diventava appiccicosi. Non capivo nulla ma mi
piaceva molto che Susanna volesse insegnarmi come gestire quella strana
corrente che mi passava lungo la schiena quando stavo con Emanuela.
Un giorno, di ritorno dalla sua giornata libera, mi portò un
disco. Era un cantante inglese, Mal, e il disco si chiamava
Pensiero d'Amore. Lo aveva comprato per me e voleva che
lo regalassi alla mia fidanzatina. Non avevo mai regalato nulla a
nessuno. Era uno
strano rituale ma tutti quanti sapevano che regalavo il disco ad
Emanuela e tutti quanti sembravano contenti. Il nostro piccolo,
innocente amore era di dominio pubblico.
Non mi ero chiesto che cosa significasse la mia voglia di stare a
sentire la sua voce, non avevo la minima idea di cosa volesse dire
quello che mi stava succedendo. Galleggiavo e mi sentivo bene quando
lei era con me e una volta mi prese anche la mano e camminammo per il
parco come se avessimo paura di smarrirci.
Susanna una sera mi chiese se sapevo baciare.
La guardai senza capire
molto bene cosa volesse dire. Mi guardava con i suoi occhi piccoli ed
eravamo nel suo box con i bambini che dormivano nello stanzone. Le
dissi che si, che sapevo baciare. - Ma sai baciare sulla bocca ? -
Mi chiese. Pensavo a quale differenza poteva esserci tra un bacio sulla
bocca e un bacio sulla guancia e senza che mi rendessi conto lei si
avvicinò e mi mise una mano dietro la nuca avvicinando la
sua bocca
alla mia.
Tenne le sue labbra chiuse sulle mie per lunghi interminabili
secondi e io ero sorpreso e incuriosito da quel suo gesto completamente
inaspettato. Alla fine si staccò e disse qualche cosa sul
fatto che
quello poteva anche bastare.
Non capii, non capivo nulla ma mi sembrava di vivere in un sogno dove
le persone si toccavano, si parlavano, si baciavano e continuavo ad
andare a dormire sperando che venisse presto il giorno dopo per
ritrovare Emanuela e Susanna e tutte le persone eccezionali che avevo
intorno.
Anche Emanuela un giorno mi chiese se sapevo baciare. Forte
dell'esperienza passata le dissi che si, certo che sapevo baciare. Ci
fu un silenzio lungo e complicato. Lei ogni tanto si voltava a
guardarmi e poi tornava ad occuparsi delle foglie o dei fili d'erba.
Sentivo che qualcosa non stava andando per il verso giusto ma non avevo
idea, non avevo la minima idea di quello che accadeva. E non ero
neanche in grado di formulare delle ipotesi. Se solo avessi potuto
avere Susanna li con me, mi avrebbe certamente spiegato e forse avrei
anche capito. Emanuela fece un sospiro e tornò verso il
prato dove tutti i bambini stavano giocando.
Rimasi a guardarla mentre si allontanava ed
ero confuso.
Susanna mi disse che capire le ragazze era la cosa più
difficile per un maschio e spesso mi abbracciava e mi ero ritrovato
molte volte a pensare che mi sarebbe piaciuto sentire di nuovo le sue
labbra sulle mie.
Poi arrivarono gli autobus per portarci via e pensavo che non avrei
più rivisto quel posto. Quella volta non ci furono lacrime
per i ritorno a casa.
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