Il giorno
dopo, subito
dopo
colazione, incontrai Elena e ci mettemmo d'accordo sulla passeggiata.
Avevo chiesto a Maddalena se avesse bisogno di me e lei mi aveva
sorriso dicendo che sarebbe andata nel
pratone poco oltre il paese. La giornata si preannunciava fresca e
quindi la passeggiata breve andava benissimo. Poteva tranquillamente
fare a meno di me.
Avevo deciso di portare Elena e i suoi bambini nei boschetti
di alberi di nocciole sulla strada per il lago. Era un posto molto
bello e la passeggiata era tranquilla anche se ci voleva circa un'ora
di cammino. Elena andò a firmare il registro dove indicava
il luogo che intendeva raggiungere e le persone che l'avrebbero
accompagnata mentre io controllavo che i bambini della squadra non si
disperdessero per il parco. Uscimmo dalla villa e subito fuori, come
spesso succedeva, stazionavano
i ragazzi che abitavano in paese.
Ci guardavano come fossimo degli
ospiti poco graditi. Ospiti da spiare, scrutare, a volte prendere
in giro. C'erano quelli più grandi che ritrovavamo nel campo
di calcio e che erano lì per guardare le assistenti. C'erano
quelli che avevano più o meno la mia età che
volevano mostrare la loro superiorità indiscussa sui bambini
milanesi. C'erano poi quelli piccoli che non dicevano nulla, guardavano
con i loro occhi spalancati.
Dal mese precedente, un gruppo di ragazzi con biciclette da corsa mi
stuzzicava dicendo che non sarei stato in grado di competere con loro.
Non li avevo mai considerati, non mi interessava.
Ci incamminammo per la nostra strada con il codazzo dei ragazzi del
paese che ci faceva da scorta. Normalmente dopo qualche
minuto si
stancavano e tornavano alle loro occupazioni. Dovevamo attraversare il
paese e poi la strada scendeva con una curva e
una pendenza molto forte per poi risalire dall'altra parte con la
stessa forte pendenza. Poi ci si inoltrava nella campagna lungo un
sentiero lasciando l'asfalto. Al solito i ragazzi mi dicevano che non
sarei stato in grado di
competere con loro in bicicletta, mi sfidavano e mi deridevano per il
fatto che non avevo ancora accettato di mettermi alla prova,
sicuramente perché avevo paura.
Quel giorno dovevo forse mettermi in mostra agli occhi di Elena, o
forse i bambini mi avevano convinto con le loro grida dicendo che io
ero più forte. Mi diedero una bicicletta e ci mettemmo in
linea all'inizio della curva. Elena continuò la strada senza
dire nulla ma ogni tanto si
voltava a guardare e non sorrideva. Quando la squadra era nel fondo
valle, ci lanciammo, io e tre dei
ragazzi del paese, con le nostre biciclette.
Ero più veloce degli altri e arrivai a sorpassare Elena e i
bambini
che avevo dieci metri di vantaggio sul primo inseguitore. I bambini
urlavano felici facendo il tifo per me e
passando vidi lo sguardo non proprio rilassato di Elena che divideva la
sua preoccupazione tra me e la sua squadra. La salita fu difficile e
arrivai in cima con le ultime energie rimaste. Uno dei ragazzi era
riuscito a superarmi ma avevo fatto la mia figura; li avevo finalmente
zittiti. Restituii la bicicletta e i ragazzi mi salutarono con un nuovo
rispetto. Non avevo idea di come avessi fatto a compiere l'impresa. In
realtà non ero per niente abituato ad andare in bicicletta e
tantomeno avevo dimestichezza con le bici da corsa. Mi ero
però lanciato come un pazzo giù dalla discesa e
poi avevo raccolto la mia rendita sulla salita con il vantaggio
accumulato. Ma la discesa era stata folle, anche se non mi ero reso
conto di quanto avessi rischiato.
Quando la squadra arrivò in cima alla salita i bambini si
fecero tutti intorno a me festosi. Elena li
lasciò fare e solo dopo qualche minuto chiese che si
ricompattasse la fila e mi guardò con occhi che non
sorridevano. Lungo tutta la passeggiata e per il ritorno i bambini
continuavano a chiedermi di raccontare la gara e gridavano eccitati
ricordando quello che avevano visto. Elena rimase in disparte tutto il
tempo, silenziosa e attenta, rivolgendomi la parola solo per chiedermi
dettagli sull'orario per il ritorno, per i tempi di percorrenza
dell'itinerario di ritorno. Capivo che qualcosa non andava bene, non
sorrideva più ed
era tesa. Mi sentivo in colpa ma non sapevo come fare a recuperare e
soprattutto
non sapevo che cosa aveva spento il suo sorriso.
La sera lasciai senza la mia preziosa buonanotte molte delle camerate;
avevo voglia di stare con Elena ma nello stesso tempo avevo timore di
averla irritata. Alla fine mi feci coraggio e entrai nella camerata.
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Elena mi
guarda entrare, non sorride. E'
strano non vederla sorridere.
Ho sempre pensato che sorridesse anche dormendo. I suoi occhi sembrano
piccoli
e mi guarda con un'espressione strana. L'ho fatta arrabbiare oggi, lo
so. Volevo che fosse fiera di me, volevo che anche lei facesse festa
come hanno fatto i suoi bambini: gridavano ed erano felici di avere
avuto l'opportunità di vivere in diretta la mia impresa. E'
vero che ho rischiato di cadere e di farmi molto male ma alla fine sono
riuscito ad arrivare in cima alla salita e i ragazzi del paese sanno
finalmente con chi hanno a che fare. Perché non hai
più
sorriso ? Perché non mi hai più fatto arrossire
con i tuoi sguardi profondi ? Perché mi sento questo groppo
in gola al pensiero di averti fatto arrabbiare ? Che cosa mi sta
succedendo ? Parlami Elena, sorridi. Non capisco perché ma
il tuo silenzio mi sta facendo male come la lama di un coltello che
passa lentamente sulla mia pelle. Improvvisamente il respiro mi costa
fatica e il silenzio della stanza mi sta assordando. Forse stai
parlando e io non sento. Forse mi stai sorridendo e per un sortilegio
strano ti vedo assente, lontana, fredda.
Elena è silenziosa. Sembra triste. Rigira con le dita una
ciocca dei suoi capelli neri e abbassa gli occhi. Non l'ha mai fatto.
Si è sempre divertita a guardarmi per poi ridere di
gusto della mia timidezza. Dio com'è bella quando ride. Me
ne accorgo ora guardando le sue labbra strette e la sua mano che
continua a tormentare i suoi capelli. Ha un maglione a dolce vita
bianco e i pantaloni neri. Solo la sera la
vedo senza il camice bianco che per contratto deve portare quando
è in servizio. Elena non parla. Le sue gambe
sono raccolte verso la tenda del box e un braccio è lungo il
corpo. E' bella e la luce forte del comodino le illumina il viso
mettendo in risalto il suo naso e i suoi zigomi pronunciati. Non so che
dire, non so che fare. Sono fermo in piedi davanti al suo letto. I
bambini sono tutti silenziosi, dormono e siamo svegli solo io e lei.
Sono passato nella camerata della Simonetta e ho dato la buonanotte a
Maddalena. Nessuno mi aspetta questa sera. Ho raccolto tutto il mio
tempo per regalarlo a lei. Volevo raccontarle di Daniela e di Susanna.
Volevo passare la notte con lei come ho fatto con Rita. E
improvvisamente tutta questa voglia che avevo mi sta esplodendo dentro
e sbatte contro un muro...
Riesco ad alzare gli occhi e mi accorgo che le lacrime stanno rigando
le sue guance. Con un gesto quasi furtivo lei tenta di asciugarle con
il dorso della
mano che ha finalmente lasciato in pace i capelli. Elena piange ? Elena
piange. Piange per colpa mia, sono stato io a farle male. Che imbecille
sono stato. Le ho fatto male e non mi vorrà mai
più bene. Ora voglio scappare via e rintanarmi nel posto
più buio di tutta la colonia. E questo nodo che ho in gola,
questa tristezza enorme che sta salendo come se fosse un fiume in
piena... da dove vengono queste sensazioni orribili, perché
sento dolore ? Cosa si fa in questi casi ? che cosa devo fare ? Susanna
dove sei, tu
sapevi sempre tutto e hai cercato di insegnarmi cosa fare. E anche se
non ho mai capito
nulla ora vorrei sapere che cos'è che mi dilania
dentro.
Elena piange. Ed è colpa mia.
- Scusa - La voce mi è uscita all'improvviso. Mi sono quasi
spaventato sentendomi parlare. E' come se fosse uscita da sola.
Ora dovrei girarmi e uscire. Anzi dovrei correre via e per il resto
del turno dovrei riflettere sulla stupidità
di mettere a repentaglio le mie gambe, le mie braccia, la mia
testa per una gara da cretini. Alessandra mi
avrebbe messo in castigo, mi avrebbe detto che due anni erano passati
inutilmente. Ero sempre quello che picchiava i bambini per mettersi in
mostra.
Dove sei Alessandra, raccoglimi tra le tue braccia. Voglio sparire,
sprofondare, seppellirmi perché ho fatto del male proprio a
Elena, così minuta, così fragile. Non come
Daniela, non come Paola, non come la Signora Bianca. Ma
perché non riesco a muovermi. Le gambe mi sembrano
inchiodate al pavimento. Lei si è mossa, ha allungato le
gambe e poi ha messo i piedi
scalzi sul pavimento. Mi sta guardando e i suoi occhi sono umidi e
sembrano più grandi del solito.
- Siediti - mi dice. Con il palmo della mano ha delimitato precisamente
dove devo sedermi. E' vicino a lei, molto vicino.
Mi siedo e sento che mi stanno uscendo le lacrime dagli occhi senza che
io stia piangendo. E' come se avessi pianto dentro e i miei occhi
fossero solo le chiuse che sono state spalancate per abbassare il
livello delle acque.
Elena mi guarda e ora ha uno sguardo dolce. Mi asciuga le lacrime con
lo stesso dorso della sua mano che ha usato per le sue di lacrime.
- Ho avuto paura oggi - Mi sta parlando con dolcezza. Mi aspettavo una
voce rabbiosa e invece è dolce. Dio com'è bella.
- Ho avuto paura che ti facessi male, e invece sei quasi arrivato primo
-
Elena sorride. Dio mio sorride !! Ha le lacrime che le riempiono gli
occhi ma
sorride. Allarga le braccia e come se fosse un segnale pattuito mi giro
e
l'abbraccio. E lei mi abbraccia. Sento il suo odore ora. Sento l'odore
dei suoi capelli e le lacrime mi stanno uscendo come un rubinetto
aperto. Elena mi stringe forte e io mi immergo nel suo odore. E' odore
di lana bagnata, di fumo di legna. E' odore di lacrime.
Continua a stringermi e non dice nulla. Continuo a tenerla stretta e
non ho niente da dire perché mi sento come se fossi
improvvisamente in un luogo caldo, sicuro, piacevole. Sono tra le sue
braccia e la testa mi sembra improvvisamente svuotata di tutto.
Non è la stessa sensazione di quando mi sono perso
nelle braccia di Alessandra:
è diverso. Non so dire perché ma il cuore mi
batte forte e il suo odore mi fa girare la testa. Non so se il tempo si
è fermato o se mi sono addormentato e sto sognando. Piano
piano lei si è mossa o forse mi sono mosso io; la sua
guancia preme sulla mia e ho gli occhi chiusi perché se
è un sogno non voglio svegliarmi per nessuna ragione. Sento
il suo respiro, sento l'umido dei suoi occhi vicino, molto vicino. E mi
basta ruotare leggermente la testa per trovare le sue labbra che come
di incanto sono sulle mie. E con naturalezza le bocche si aprono e
scopro la bellezza di un bacio per la prima volta nella mia vita. Il
cuore quasi si ferma ma non sento male. Ad un certo punto apro gli
occhi, e stacco le mie labbra dalle sue. La guardo e lei riapre gli
occhi e mi guarda. Dio com'è bella. Se è un sogno
non mi voglio più svegliare.
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