L’aveva conosciuta qualche anno prima.
Era arrivata con Daniele un pomeriggio a casa di Maurizio.
Aveva capelli biondi e occhi neri, più neri di una notte senza luna.
Si era seduta al tavolo e aveva risposto alle presentazioni semplicemente con un sorriso, senza dire neanche una parola.
Luciana le aveva preparato un the mentre Daniele stava chiacchierando con Maurizio.
Lui aveva preparato il Cylom offrendo a lei di accenderlo com’era prassi nell’etichetta immaginaria dei consumatori di canapa indiana.
Lei aveva sorriso e poi aveva detto le sue prime parole: 
– Grazie, non fumo –
Subito dopo aveva preso dalla borsa un astuccio simile a quelli che si usavano a scuola per le penne e le matite.
Dentro, una confusione di mascara, rimmel, fondotinta e uno specchietto tondo che lei posò sul tavolo.
Nel portafogli aveva una bustina di stagnola che conteneva polvere bianca.
Ne mise un po’ sullo specchietto e poi con una banconota arrotolata, la aspirò in una volta sola.
Richiuse tutta l’attrezzatura e come se niente fosse si girò verso di lui e disse:
– Stasera me ne portano altra –
Tutta la scena era stata seguita in un silenzio assorto. Daniele sorrideva sotto i baffi, Luciana lo guardava e mentre nel Cylom si esauriva l’impasto di hashish e tabacco, lui stava morendo dalla voglia di sapere da dove arrivasse quell’angelo con gli occhi così neri.
Lei era sorridente, eterea, sicura di se.
Lui si sentiva intimidito e goffo.
I sintomi di un innamoramento a prima vista erano evidenti e già si preannunciavano i limiti e le problematiche che avrebbero riempito i giorni a venire.
Ma lei sorrideva e sorrideva a lui.


Finì il caffè e nel fondo della tazza rivide per un attimo il brivido di quei suoi occhi neri, lo stordimento che non era quello abituale, quello dovuto al fumo di hashish libanese di prima qualità.
Ripose sul tavolo la tazza insieme ai brividi e agli stordimenti.
Aveva un problema ora e andava gestito tenendo a bada il cuore e le emozioni.
Si alzò e si diresse verso il bagno deciso a chiedere conto a Emanuela di quella sua visita, del contenuto del borsone e dei suoi piani.
La porta del bagno era socchiusa, la luce accesa, in terra orme umide di piede.
Bussò alla porta ma sapeva che avrebbe trovato solo l’accappatoio e un asciugamano, bagnati, abbandonati sul pavimento.
Lei si era già infilata nel suo letto, i suoi capelli biondi come gioielli sparsi alla rinfusa sul cuscino.
Lui si fermò a guardarla e per un attimo sentì che il sangue non aveva più la consistenza abituale anzi non era più nemmeno sangue, era un incendio, un uragano, era una roccia dura che rotolava e devastava ogni paesaggio che si trovasse sfortunatamente a valle.
Nella penombra lei si girò aprendo gli occhi, gli regalò la perfezione del suo sguardo e disse soltanto:
– Vorrei dormire –
girandosi poi dall’altra parte.
Chiuse la porta.
Passò dal bagno e vide la devastazione.
Acqua su tutto il pavimento, sapone abbandonato nella doccia, i suoi vestiti dentro il lavandino, accappatoio e asciugamano buttati a terra come se fossero gli stracci usati per asciugare una inondazione.
Era passato un uragano ma lui non aveva voglia di porvi rimedio.
Spense la luce e rimandò il problema.
C’era qualcosa di molto urgente da appurare.
Aveva paura ma andava fatto prima possibile.
Prese il borsone e lo portò in cucina.
Si mise comodo seduto sul divano.
Si prese qualche istante per pensare, per prepararsi a quello che stava per vedere e poi aprì.
C’era vestiario, c'erano maglioni, pantaloni, alcune gonne e una busta di plastica piena di biancheria.
Un beauty-case sgargiante catturava l’attenzione ma conteneva solo una miriade di oggetti da toeletta.
Tutto era in ordine e questo gli confermò i sospetti.
Infilo il braccio in profondità e sentì un tessuto ruvido e spesso.
Spostò i vestiti senza modificare l’ordine con cui erano riposti ma liberando tutta la parte lunga, laterale.
Trovò un fagotto che occupava l’intera base del borsone.
Lo prese e lo appoggiò di fianco ma già sapeva che cosa contenesse.
Con la punta di due dita prese un lembo, lo aprì e vide.
Era un AK-47, meglio noto come Kalashnikov dal nome del suo realizzatore.

Seduti intorno al tavolo stavano ascoltando il racconto di Daniele sull’ultimo viaggio a San Colombano, il figlio che dormiva sul sedile posteriore, il bagagliaio pieno di carta fotografica, l’ingranditore, i liquidi per lo sviluppo.
Aveva anche comprato un po’ di fumo; aveva del lavoro da finire e a casa sua in montagna sarebbe stato tutto molto facile.
Subito dopo l’uscita autostradale c'era una pattuglia di Carabinieri e sembravano essere lì proprio per lui.
Passò tutta la notte alla caserma e vollero guardare ogni centimetro della sua auto passando al setaccio quello che conteneva.
Alex, il figlio, non si svegliava nemmeno con i colpi del cannone.
Lui chiese che fosse messo su un divano, in una delle stanze e poi gli mise addosso una coperta così a nessuno venne in mente di guardare dentro le tasche dei suoi pantaloncini.
Emanuela all’improvviso gli prese la mano. 
– Mi dici dove posso trovare un negozio di vestiti usati ? –
Lui trasalì per quel contatto inaspettato.
Senza spostare di un millimetro la mano disse di si.
– Vicino alle Colonne di San Lorenzo, è un negozio molto fornito –
Lei rimase a pensare qualche minuto, sempre tenendo la sua mano, come se avesse necessità di tempo per elaborare le informazioni che aveva ricevuto e che il contatto fisico fosse una parte indispensabile di quel processo cognitivo.
– Mi accompagni ? – disse infine lasciando la sua mano.
Luciana lo guardava e sorrideva.
Uscirono di casa e lui malediceva il Cylom che aveva appena consumato.
Avrebbe preferito essere lucido, sicuro, invece l’hashish lo rendeva ridanciano e sciocco, senza che fosse possibile avere la concentrazione necessaria per cogliere dettagli, sfumature. Guardava quei suoi occhi e gli sembrava di cadere all’indietro dentro un liquido caldo e quella sensazione era qualcosa che voleva urlare, cantare a squarciagola.
In piedi, sul fondo del tram, lei si avvicinò talmente tanto che lui riusciva a sentire anche l’odore dei pensieri. 
Senza curarsi degli altri passeggeri, lei infilò le dita nei suoi capelli lunghi e avvicinò le labbra fino a una frazione di millimetro da quelle di lui, senza toccarle mai, come un esame per stabilire se fossero adeguate, compatibili o come se non conoscesse l’esatta modalità di un bacio. Lui chiuse gli occhi e gli sembrava di essere in balia di una marea.
Poi, dopo un tempo che a lui era sembrato senza fine, lei si staccò e andò a sedersi.
Lui era stordito. 
Non capiva.
Restò per tutto il tempo aggrappato ai sostegni davanti a lei perché non c’era posto per sedersi.
Passarono l’intero pomeriggio in giro per negozi senza che succedesse altro.
Lei non parlava quasi mai ma comprò diverse cose e lui notò che aveva parecchie banconote dentro il suo portafogli.
Gli regalò anche un giaccone e poi all'improvviso disse che aveva altre faccende da sbrigare e se ne andò.
Si ritrovò da solo con i suoi occhi stampati dentro il cuore e il suo silenzio pieno di capelli biondi da decifrare.