Tenne gli occhi chiusi per qualche istante sperando in questo modo di cancellare l’arma dentro la stoffa blu. 
Fece attenzione a non toccare nulla che potesse conservare la sua impronta. Sentiva una rabbia sorda salire dallo stomaco e già sapeva che appena fosse arrivata al cuore avrebbe scatenato una guerra mondiale che lo avrebbe lasciato prostrato e vinto perché il cuore era più forte, lo era sempre stato. 
Un anno prima era arrivata, preannunciandosi con una telefonata. 
Aveva una voce dolcissima, sembrava avesse voglia di vederlo. 
– Sono soltanto di passaggio da Milano ma se vuoi posso fermarmi – 
Lui aveva il cuore che gli rimbalzava dentro il petto come se fosse una pallina di caucciù finché lei non era apparsa con quei suoi occhi splendidi e un paio dei suoi amici che non avevano detto nemmeno una parola.
Gli avevano però puntato addosso i loro sguardi come se fossero pistole di cui sicuramente erano provvisti. 
Forse cercavano di capire che cosa Emanuela avesse da spartire con un povero coglione. 
Uno che non era capace nemmeno di smontare una Beretta calibro nove corto. 
Erano rimasti due giorni a casa sua senza uscire mai, senza parlare mai e senza che lui potesse rimanere solo con lei nemmeno per il tempo di chiederle che cazzo gli fosse passato per la mente.
Aveva cucinato e fatto la spesa. Sembrava fosse lo sguattero della Banda dell’Ortica. Nemmeno il palo. 
Quando erano andati via lui era rimasto barricato in casa senza il coraggio di mettere il naso fuori. 
Pensava che appena uscito dal portone avrebbe trovato Digos, Interpol, Carabinieri, l’Esercito e la Marina degli Stati Uniti ad aspettare lui e che gli avrebbero versato olio bollente sui testicoli per farsi dire il nome dei due ceffi.
Lui invece non ricordava nemmeno se fossero esseri umani oppure “visitors” ed era terrorizzato.
Era sicuro che avrebbe raccontato tutto quello che sapeva e che avrebbero dovuto versargli l’olio bollente per farlo smettere di parlare.

Al suo ritorno a casa aveva trovato Daniele ancora intento a raccontare e il Cylom era passato molte volte a rallegrare il pomeriggio.
Luciana lo guardò con un sorriso complice. 
– Allora ? – chiese. 
– Allora cosa ? – si schernì lui 
– Guarda che non è merce per te – 
Maurizio faceva lo stronzo come sempre 
Lui si sedette e rifiutò di fumare. Aveva da poco riacquistato una parvenza di lucidità. 
– Ti piace Emanuela, eh – 
Daniele aveva sentenziato. 
– E’ simpatica – provò ad abbozzare lui
– Si, simpatica – fu la risposta unanime e un po’ ironica degli altri. 
Daniele disse che Emanuela rapinava banche e uffici postali.
Faceva in qualche modo parte di una organizzazione terroristica.
Lui l’aveva conosciuta tramite Gelso.
Lei ora era di passaggio a Milano e quindi aveva chiesto di dormire a casa sua.
Disse che lei non aveva ovviamente detto una parola di queste cose ma Gelso gli aveva assicurato che era la verità.
Lui non gli credeva.
In fondo pensava che Emanuela se la tirasse un po’ e che quella storia era una balla dietro cui nascondersi e vivere di rendita.
Mentre ascoltava lui ripensava alle banconote che aveva visto nel suo portafogli, al suo silenzio, ai suoi occhi neri, alle sue labbra.
Non gli fregava nulla di cosa facesse. 
Aveva voglia di risentire l’odore forte della sua pelle.
Poi lei arrivò e mise sul tavolo una busta di stagnola che conteneva un paio di grammi di cocaina.
– Ecco, questa è per voi – disse, ma non guardava lui. 
Si sedette anche lontano.
Maurizio prese uno specchio e una lametta e cominciò a lavorare un po’ di quella polvere. Ne fece strisce di qualche centimetro e poi passò lo specchio a Emanuela che rifiutò. 
– Io sono a posto, grazie –
Lui era inquieto.
Lei non lo aveva nemmeno degnato di uno sguardo mentre lui non le aveva tolto gli occhi di dosso.
Quando lo specchio passò da lui disse di no, come aveva fatto lei. 
- No, non ne ho voglia - 
Maurizio non se lo fece dire una seconda volta e aspirò la striscia che era destinata a lui senza nemmeno chiedere il permesso.
– Ma che ti prende – chiese Luciana
– Niente, ma non ne ho voglia. Tutto qui – fu la sua risposta.
Si alzò e prese la busta con il giaccone.
– Io vado a casa – disse, e senza aspettare altro uscì.
Era furioso ma non sapeva esattamente il perché. O forse lo sapeva.
Avrebbe voluto che lei si fosse seduta di fianco a lui, che avesse preso un’altra volta la sua mano e invece lo trattava con una indifferenza che lui non era in grado di capire. O forse si.
Lei era una terrorista e lui soltanto un fumatore di marijuana.
Bene, che si fotta lei e tutti quelli come lei.
Anzi, domani gli avrebbe riportato il giaccone dicendogli che ci aveva ripensato, che non lo voleva più.
Cretina.
Cosa pensava, di essere la più bella del reame ?
Questi pensieri lo accompagnarono fino a casa e si sdraiò sul letto a respirare.
Semplicemente.
Quando il telefono squillò lui si era quasi assopito.
Lei aveva una voce delicata, come se fosse un soffio, un alito di vento.
– Sei ancora arrabbiato ? – disse 
– No – rispose lui – Ma non ero arrabbiato – aggiunse senza troppa convinzione.
– Andiamo a mangiare qualche cosa insieme ? –
– Certo. Tu dove sei ora ? –
Era alla cabina sotto casa.
Fece di corsa i quattro piani e non ricordava più il perché della sua rabbia.
Andarono in un ristorante vero e proprio e lei gli raccontò di Parma, la sua città e volle sapere di Maurizio, di Luciana, chiedeva anche di lui e volle sapere del suo progetto di viaggio in Sud America.
Disse che conosceva Lima e che l’hotel dei viaggiatori era l’Hotel Europa. A Lima si trovava la coca migliore del mondo.
Il tempo passò in fretta e dopo che ebbe pagato il conto lei prese la sua mano e disse che sarebbe venuta a casa sua con gli occhi che sembravano brillare.
A casa lei entrò e si guardò intorno: cercava la camera da letto.
Senza dire nemmeno una parola si tolse i vestiti gettandoli per terra e poi si mise sotto le coperte.
Lui rimase in piedi a osservare quei gesti.
Pensava che sarebbe morto di lì a poco per quello che gli stava capitando.
Poi si spogliò, spense la luce e si avvicinò al suo corpo.
Emanuela stava già dormendo.

Richiuse il fagotto con l’arma e lo infilò nel borsone cercando di rimettere ogni cosa come l’aveva trovata.
Prese il giubbotto e controllò le tasche che contenevano una miriade di fazzoletti usati e dei lucida labbra.
C’era una tasca interna, chiusa da una cerniera e dentro una pistola.
L’aveva sentita al tatto ed era meglio toccare il meno possibile.
Per quanto ne sapeva lui di armi e munizioni, poteva anche essere carica, con il colpo in canna, qualsiasi cosa questo volesse dire.
Mise borsone e giacca in terra, fra il divano e il muro.
Tanto non c’era luogo dove potesse occultare armi senza che nemmeno un vigile addetto al traffico non fosse in grado di trovarle.
Tornò in bagno e asciugò per terra, pulì la doccia e il lavandino, piegò i suoi vestiti e li portò in silenzio in camera fermandosi ad ascoltare il suo respiro. Mise accappatoio e asciugamano direttamente in lavatrice e poi tornò a sedersi sul divano cercando di capire che cosa fare, come venire fuori da quella situazione.
C’erano armi a sufficienza per finire in galera senza nemmeno la soddisfazione di aver imparato a usarle.
C’era lei che abitava direttamente il suo sangue.
Era una molecola del suo corpo e se anche fossero passati mille anni l’avrebbe accolta dentro di se senza nemmeno un tentennamento.
Non poteva che aspettare, sapere quali erano i suoi piani e poi avrebbe preso una decisione.
Uscì che il buio non aveva ancora abbandonato la città.
Voleva fare due passi e smaltire le emozioni.
Comprò il giornale e poi andò a riscaldarsi dentro il bar. Chiese un cappuccino e si sedette ad aspettare l’ora adatta per telefonare in ufficio e dire che era malato, che era morto, che la donna che amava di più della sua stessa vita viaggiava con un Kalashnikov e una pistola probabilmente carica e che aveva il vizio di venire a casa sua portando gli occhi che lui non era in grado di dimenticare e un mucchio di problemi.
Guardò distrattamente la prima pagina del giornale e in basso un trafiletto attirò la sua attenzione.
Diceva solamente “Rapina sanguinosa alle porte di Roma” e riportava ad una pagina interna.