A notte fonda lui si svegliò con la precisa sensazione di lei e dei suoi occhi.
Emanuela era seduta e lo guardava e quel suo sguardo aveva accarezzato dolcemente tutti i suoi sogni spingendolo a risalire e a risvegliarsi senza che in realtà ci fosse troppa differenza.
Lei era un sogno, i suoi capelli biondi erano luce che illuminava il viso e gli occhi neri erano baratri dove era così facile annegare.
Riuscì a non dire nulla e lei sorrise quasi approvando quel silenzio.
Lei spinse le dita tra i suoi capelli e poi avvicinò le labbra fino a una frazione di millimetro dalla sua bocca.
Sentiva forte odore di mimose ed era come essere aggrappato a un filo, sopra un oceano smisurato.
Poi lei si sdraiò, sempre tenendo le dita aggrovigliate ai suoi capelli, richiuse gli occhi e con un filo di voce disse: 
– puoi fare quello che vuoi, ma fallo dolcemente – 
Al suo risveglio lei era in piedi ed era già pulita e pronta.
Aveva preparato latte e caffè ed era probabilmente anche uscita perché la tavola era imbandita con croissant e biscottini di pasticceria.
Lui ebbe la sensazione di essere immerso dentro il miele.
Sembrava un film d’amore o uno di quei fotoromanzi che da bambino leggeva di nascosto dalle sue sorelle.
Lei stava bevendo il suo caffè e prima che lui potesse dire o fare qualcosa lei disse semplicemente che doveva andare via.
Prese la borsa e uscì.

L’articolo raccontava di una rapina in banca finita male.
Quattro persone armate e mascherate erano entrate in una piccola filiale del Credito Italiano alle porte di Roma.
Avevano pistole e un fucile Kalashnikov.
La guardia giurata aveva provato a reagire ma il suo tentativo eroico gli era costato due proiettili nel costato, uno gli aveva trapassato il cuore. I banditi erano scappati senza portare a termine il loro intento criminoso.
La polizia stava valutando gli indizi e le testimonianze ma tutto faceva pensare a un commando di terroristi.
La dinamica e la precisione militare faceva supporre che fosse una rapina di finanziamento di uno dei numerosi gruppi di terroristi impegnati nella loro personale guerra contro il “cuore dello stato”.
Il vigilante lasciava moglie e un bambino di pochi mesi. 
Cordoglio unanime da parte di tutte le forze politiche”.
Aveva la bocca secca e il cappuccino non riusciva a scendere lungo l’esofago strizzato da una sensazione spaventosa.
Una parte di lui voleva correre a casa, costringerla a svegliarsi e mettergli sotto il naso quel giornale, chiedere perché voleva coinvolgerlo in quella follia.
Sapeva che non l’avrebbe fatto.
Non era capace nemmeno di svegliarla per dirle che voleva fare l’amore.
Spesso era rimasto sveglio per poterla guardare, le mani che bruciavano dalla voglia di toccarla e quelle labbra che aveva solo assaggiato, quelle che lei distillava goccia a goccia come se fossero un liquore delizioso e raro o un veleno in grado di uccidere all’istante se fosse stato usato senza ritegno.
Cercò di controllare la paura.
Lei non aveva mai parlato di cosa fosse davvero la sua vita.
Lui non le aveva mai chiesto nulla.
Lei arrivava come un temporale estivo e proprio come un temporale aveva il dono di sconvolgergli la vita.
Tutte le volte aveva la speranza che il nubifragio portasse poi a un vento lieve in grado di rinfrescare la sua febbre.
Invece ogni volta andava via lasciando dietro solo le macerie, nascoste dietro il suo chiacchierare senza fine che aveva sostituito i suoi silenzi ed era la sola intimità che lei accordava.
Solo a volte e solo in seguito a chissà quale processo lei concedeva le sue mani e mai gli era concesso di dirle quanto amore e desiderio abitassero il suo cuore.
Non c’era un luogo in cui lui potesse scrivere, non c’erano telefoni quando trovava tracce dei suoi occhi e la malinconia era un bruciore insopportabile.
Poteva solo aspettare e quando lei arrivava poteva solo sperare che avesse voglia di regalargli un poco del suo tempo, guardarlo mentre faceva finta di dormire in una qualsiasi notte, per renderla infinita e breve.


Lei era partita.
Daniele aveva aperto la sua porta e poi gli aveva detto che lei era tornata a prendere il bagaglio ed era andata via.
A mezza voce disse che non era tornata per la notte e poi lo aveva guardato di sottecchi.
– Lo so – gli disse un poco riluttante 
– Abbiamo cenato insieme e poi ha dormito a casa mia –
– E bravo, insomma ce l’hai fatta! – era quello che immaginava di sentirsi dire da Daniele.
Invece lui restò in silenzio e lo guardava con un’espressione assorta. Come per dire “Ti sei cacciato in un bel guaio”.
I giorni successivi furono febbre dolorosa.
Poi piano si riabituò a una luce un po’ smorzata e la sua pelle sembrò dimenticarsi di Emanuela.
Partì per il suo viaggio e pensò a lei soltanto entrando nell’androne dell’Hotel Europa a Lima.
Per un istante lungo come un sogno sentì le labbra che si avvicinavano alle sue, senza toccarle, quel modo strano e unico che aveva lei di condividere il suo cuore, senza contatto, il desiderio puro che esplodeva in pezzi che ritrovavi poi per i secoli a venire.
Tornò dal Sud America pieno di storie da raccontare e aveva anche un po’ di cocaina sfuggita ai tanti doganieri che avevano distrattamente controllato il passaporto.
Arrivò a casa di Maurizio che aveva ancora addosso il suo bagaglio.
Lei era seduta al tavolo, la sigaretta accesa tra le dita, gli occhi che sorridevano e i suoi capelli come una pioggia d’oro.

Quando arrivò l’orario giusto chiamò l’ufficio e farfugliò di un’emergenza che richiedeva la sua attenzione.
Non era più riuscito a leggere il giornale.
Era arrivata la prostrazione, il senso di debolezza e di inadeguatezza che lo facevano sentire come in balia di una corrente impetuosa.
Non aveva voglia di fare nulla.
Non voleva tornare a casa sua. Non voleva nemmeno rimanere lì ma contemporaneamente non aveva voglia di muoversi.
Voleva scomparire, dissolversi. Invece aveva in casa una terrorista con un Kalashnikov che forse aveva ucciso un vigilante.
E quella era la donna che abitava i sogni.
Lui impazziva quando lei gli concedeva tempo e poi moriva di dolore quando arrivava il momento di partire.
Rimase un paio d’ore prigioniero di quella morte cerebrale e poi alla fine, senza pensarci troppo, si alzò e si diresse verso casa.
Entrò chiudendo dietro di se la porta e fatto un passo si ritrovò davanti un uomo basso, tarchiato, capelli neri, ricci e grossi baffi.
Aveva in mano una pistola e lo guardava fisso negli occhi.
Dietro di lui la voce di Emanuela che con un tono inusuale stava dicendo:
– E’ lui, non preoccuparti. –
Era paralizzato.
L’uomo rimase ancora qualche istante con la pistola alzata e poi indietreggiò come in un film americano.
- Vai a sederti sul divano – gli ordinò con una voce piena e autoritaria.
Lui obbedì.
Entrando nella stanza vide Emanuela seduta sulla sedia e dietro di lei un altro uomo, giovane, sembrava un ragazzino, un liceale, uno di quelli che ti aspetti fuori da una scuola.
Aveva anche lui una pistola in mano e lui ebbe precisa la sensazione che qualche secondo prima fosse puntata su Emanuela.
In terra c’erano fogli di giornale e poi cocci che solo dopo un momento lui riconobbe essere la lampada che stava sulla mensola.
Il suo arrivo aveva interrotto una questione molto seria che richiedeva cocci e armi e che portava in sé una certezza: qualcuno non ne sarebbe uscito vivo.