Sul letto, completamente nuda, c’era la donna, Elena, un poco rannicchiata, come qualcuno che a lungo ha cercato la posizione adatta per un sonno ristoratore.
Sul tavolino, in mezzo a una confusione di sigarette, fiammiferi "minerva" e portacenere pieni di mozziconi, svettava una bilancia, di quelle che servivano per il peso della corrispondenza. Poi uno specchio senza cornice con sopra un mucchio consistente di una sostanza scura e polverosa. 
Eroina, sicuramente. 
Anche di buona qualità per quello che si poteva giudicare a occhio. 
Rimase un attimo perplesso. 
Era davvero inusuale che tutto fosse così in vista e soprattutto che quella scena fosse accessibile a chiunque. 
Era indeciso sul da farsi. 
Forse era il caso di uscire subito da quella casa, poteva essere anche pericoloso. 
Sarebbe stato molto meglio aspettare il ritorno di Nicola giù al portone, oppure fuori dalla porta. Probabilmente lui doveva essere sul ballatoio, per qualche necessità corporea che sicuramente non avrebbe richiesto ancora molto tempo. 
Lui era sicuro che al suo ritorno Nicola non sarebbe stato molto contento di trovare in casa sua una persona, anche se conosciuta, in piedi, tra la propria donna nuda sdraiata sopra il letto e tutta quella polvere posata sullo specchio. 
Buttò un occhio nell’altra stanza e vide un tavolo coperto da una tovaglia a quadri e provò di nuovo a chiamare Nicola a voce decisamente alta sperando in questo modo di svegliare Elena che invece rimase immobile, i seni piccoli con i capezzoli ambrati, le gambe un po’ raccolte che non potevano nascondere niente di quello che lui stava guardando con una curiosità quasi infantile. 
Forse era meglio restare: sarebbe stato molto peggio trovarsi faccia a faccia con Nicola mentre usciva da quella scena degna di un quadro di Bosch. 
Decise che la cosa migliore da fare era sedersi su una delle sedie a una distanza di sicurezza da quelle tentazioni spaventose: poteva semplicemente infilare la punta del coltello dentro il mucchietto di eroina e aspirarla in una volta sola oppure passare un dito sopra il rigonfiamento che Elena mostrava in un primissimo piano, non facile da trovare nemmeno nei pochi giornali pornografici. 
Le due cose avrebbero richiesto pochi secondi e mentre la prima avrebbe lasciato qualche traccia, la seconda non aveva controindicazioni. Elena era sicuramente piena della sostanza che abbondava sopra il tavolo e non si sarebbe resa conto di nulla, nemmeno se fosse esploso lo scaldabagno del suo vicino di casa.
Il problema era Nicola. 
Se fosse entrato nel momento sbagliato sarebbero stati guai seri per l’una o per l’altra cosa. 
Fece un sospiro e liberò una sedia mettendo il mucchio di vestiti sopra la madia e si sedette cercando di guardare il meno possibile Elena che nel frattempo non si era mossa nemmeno di un millimetro.


Un lato positivo c’era. 
Anzi ce n’erano diversi: aveva la certezza che non sarebbe andato via a mani vuote e poi la polvere sembrava davvero di ottima qualità. Probabilmente non c’era stato ancora il tempo di tagliarla e Elena aveva assaggiato direttamente la sostanza fresca di consegna. 
A giudicare dallo stato comatoso in cui versava doveva essere davvero buona. 
In ultima analisi, l’attesa era, per così dire, allietata da quella vista eccitante e lui trovava emozionante sia le gambe lunghe e i seni della donna che quella montagnola di polvere posata sullo specchio come un’offerta al dio degli eroinomani. 
Certo, la stessa scena con i sintomi di astinenza da eroina sarebbe stata molto diversa. 
Era sicuro che non avrebbe degnato di uno sguardo quel ben di dio sdraiato sopra il letto e non avrebbe avuto nessuna esitazione a prendere la polvere per far zittire i morsi alla base della nuca e il formicolio che si irradiava da un punto indefinito che stava dentro il suo cervello come una pioggia di punte di coltello che arrivavano a colpire ogni centimetro della sua pelle, ogni molecola. 
La sindrome da astinenza o “scimmia” come si usava dire in gergo, era uno stato doloroso ma soprattutto ansioso-compulsivo. 
La parte più difficile da gestire era sicuramente l’ansia e la prostrazione emotiva che in genere portava a fare qualsiasi cosa pur di zittire i sudori freddi e i dolori alle articolazioni. 
Arrivava da lontano con prodromi leggeri e piccoli avvisi. 
Un nervosismo che con il passare dei minuti aumentava e il pensiero fisso era trovare la sostanza e il luogo adatto per assumerla. 
Quanto l’una o l’altra cosa potesse essere un problema dipendeva soltanto dai soldi che uno aveva in tasca e dal luogo dove la sostanza era disponibile. 
Assumerla in realtà non era mai un grosso problema. 
A volte era bastato accovacciarsi dietro a una macchina, la confezione del Saridon come crogiuolo per sciogliere la polvere e qualche occasionale compagno di sventura a far scappare via i passanti inorriditi. 
Ma era ovvio che quattro pareti, acqua pulita e un goccio di limone per sciogliere la “roba” erano da preferire al bagno di un bar o della metropolitana. Lui poi era meticoloso e attento. Anche nel pieno di una crisi di astinenza non accettava mai siringhe usate, cercava addirittura di evitare che l’eroina venisse sciolta e poi aspirata da una siringa che non fosse nuova, magari proprio la sua. 
Era una condizione indispensabile e se non c’era questa possibilità lui preferiva aspirare un poco di polvere e rimandare l’assunzione a quando la situazione avrebbe fornito i minimi di sicurezza necessari. 
Poi a lui piaceva il rito della “pera”. 
Era la cosa più eccitante. Si preparava gli strumenti sopra il tavolo e poi accendeva lo stereo: Lou Reed a tutto volume:

“I don’t know, just where I’m going. But I’m gonna try for the Kingdom, if I can..” 

Apriva la bustina e l’odore della polvere aveva un vago sentore di aceto. 
Aveva anche imparato a riconoscere la qualità dal modo in cui la sostanza scivolava sulla stagnola e finiva sul fondo del cucchiaino.

“‘Cause it makes me feel like I am a man, when I put a spike into my vain”

Aggiungeva una goccia di limone e la polvere si “agglomerava” intorno all’acido citrico. Poi era la volta dell’acqua e con un accendino si scaldava il tutto fino a una brevissima “ebollizione” che lasciava un liquido giallino, a volte anche molto scuro.

“I have made big decision: I'm goin' to try to nullify my life 'cause when the blood begins to flow, when it shoots up the dropper's neck, when I'm closing in on death”

Il liquido andava filtrato per evitare i residui che non si erano sciolti; bastava un poco di cotone oppure un pezzettino di filtro di una sigaretta. Nessuno tra coloro che hanno fatto uso di sostanze stupefacenti si è mai preoccupato di quali porcherie sciolte in quella soluzione giallina venivano iniettate direttamente nel sangue.

“I wish that I was born a thousand years ago, I wish that I’d sailed the darkened seas on a great bit clipper ship”

L’ago aspirava il liquido attraverso il filtro e se c'era la fialetta di acqua distillata lui allungava la soluzione anche per raffreddarla.
Non gli piaceva iniettarsi liquido caldo. 
Eliminava l’aria dalla siringa e con un laccio, una cintura, qualsiasi cosa fosse a portata di mano, stringeva il braccio qualche centimetro sopra il gomito. Poi infilava l’ago e aspirava un po' di sangue per esser certo di essere in vena. Lasciava che il laccio allentasse la stretta e poi spingeva lo stantuffo della siringa, lentamente, fermandosi ogni tanto e risucchiando un poco di sangue come per sciacquare la siringa e mettere in circolo ogni piccola molecola di quella sostanza. Fino alla fine.

“Heroin, be the death of me, heroin, it's my wife and it's my life because a mainer to my vein leads to a center in my head and then I'm better off than dead”

Il “dopo” dipendeva da molti fattori. Era un’ondata di caldo buono, era un soffuso sentire di suoni, di odori, di colori morbidi. Tutto era filtrato come se il corpo e la mente si fossero addormentati lasciando soltanto che una esigua percentuale della capacità dei sensi rimanesse a guardia degli eventi esterni mentre il resto godeva di uno stato di benessere assoluto.

“Wow, that heroin is in my blood and the blood is in my head, yeah, thank God that I'm good as dead. Ooohhh, thank your God that I'm not aware and thank God that I just don't care”

Ovviamente se l’eroina contenuta nella polvere era poca cosa, gli effetti si riducevano a uno stato di benessere ridotto, l’assenza dei sintomi di astinenza a volte era già un buon risultato. Permetteva comunque di mettersi di nuovo “in pista” per trovare roba migliore.
A volte invece capitava di acquistare spazzatura che non si riusciva nemmeno a sciogliere o che era tutto meno che eroina. 
Capitava quando il rifornimento avveniva in piazze sconosciute oppure da qualcuno che doveva in tutti i modi avere soldi per comprare la sua dose, qualcuno che non riusciva più ad avere credito dagli spacciatori e allora fregava gli altri tossicomani.

"When the smack begins to flow then I really don't care anymore about all the Jim-Jims in this town and everybody putting everybody else down and all of the politicians makin' crazy sounds all the dead bodies piled up in mounds..”

Anche pulire la siringa faceva parte del rito, pulire il cucchiaino dal nero della fiamma e dai residui della sostanza. 
Sembrava tutto un gioco e invece era una follia. 
Una follia che si pagava con la vita. 
Se i soldi erano sufficienti i prodromi dell’astinenza venivano ampiamente anticipati e questo era il modo più sicuro per aumentare la quantità di eroina necessaria giornalmente. Ma la crisi d’astinenza era il problema di tutti coloro che vivevano portando quel fardello sulle spalle, con l’ombra della morte che li seguiva in ogni momento della loro vita.
Era qualcosa che aspettava, paziente, in fondo ad una strada dove prima o poi tutti sarebbero passati e tutti avrebbero avuto soltanto una possibilità: scegliere di smettere oppure scendere gli ultimi gradini e incamminarsi verso l’epilogo di quel gioco, di quella follia.
Il carcere, la malattia, la morte.