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"Ed eccomi qui.. io, quella che scrive poco, quella che non dice.. io, con il bisogno di dirti che ogni ora passata con te è stata una gioia, con il bisogno di dirti che mi è piaciuto camminare con te al freddo, guidare con te in mezzo alla nebbia, che mi è piaciuto abbandonarmi ai tuoi baci nel buio di un cinema di periferia, così come correre da te per starti vicino anche per pochi minuti. Che mi è piaciuto mangiare dal tuo piatto mentre mi toccavi sotto il tavolo, che mi è piaciuto guardare i tuoi occhi e leggervi il desiderio. Che mi è piaciuto amarti così come è stato. Che sono stata bene con te e che questa leggera malinconia che mi accompagna stasera è comunque una dolce malinconia perchè so, ora lo so, che tutto ciò che ci siamo detti e raccontati in questi mesi non è stato detto invano, perchè so che tu ci sei e che mi ami, così come io ti amo. Amore mio.... " Si alzò dal tavolo mentre il profumo di caffè sbiadiva lentamente quasi stemperandosi nella luce sempre più intensa che penetrava dalle sue finestre. Sentiva anche il rumore che arrivava dalla strada: qualcuno innervosito dall’attesa, suonava inutilmente un clacson fastidioso e da lontano arrivava il rombo inconfondibile di una Harley Davidson. Una volta in piedi, pensò che in fondo aveva tempo, poteva anche sdraiarsi sul divano, la musica di sottofondo, magari Keith Jarrett, il concerto di Colonia, oppure Ludovico Einaudi. Il pianoforte era uno strumento in grado di far emergere i ricordi. A volte riusciva a mescolarli con i sogni, a volte semplicemente li cullava per renderli più dolci, come bambini addormentati. Così sarebbe stato bello e rassicurante chiudere di nuovo gli occhi e ritrovare lei, intatta, come se il tempo non fosse mai passato, come se niente si fosse frantumato. Lei che guidava la sua auto, lungo le strade che non avevano destinazioni certe oppure orari programmati. Servivano soltanto da pretesto per le parole che uscivano dai piccoli cassetti di cui era piena la sua anima. Di solito quelle parole restavano nascoste in modo che nessuno potesse mai ascoltarle oppure giudicarle. A volte con fatica e una paura folle riusciva a far arrivare le emozioni fino a un millimetro dagli occhi in modo che chiunque potesse cogliere le lacrime senza doverle chiedere o pretendere. La maggior parte delle volte però restavano sospese, infondo agli occhi, come frutta matura di cui soltanto lui ne conosceva sapore e consistenza. Con lei invece quelle parole uscivano in modo delicato, avevano il pudore delle cose buone ed erano talmente numerose che in pochi attimi riempivano le mani e gli occhi, come un odore di pane dentro il forno. Erano piene di colori, sorrisi, lacrime; la maggior parte delle volte erano fatte di silenzio ma raccontavano lo stesso i desideri inconfessabili, i sogni oppure le paure. Avevano una leggerezza inebriante, come del cibo prelibato mangiato nello stesso piatto. Quelle parole erano cascate di acqua pura in grado di calmare la sua sete e davano una forza sconosciuta. Lei ogni tanto si girava e lo guardava con quel suo sguardo di tralice. Sembrava controllare che lui fosse ancora lì, che fosse vero, ma quei suoi occhi distratti dalla mezzeria riuscivano ad arrivare in luoghi che lui non aveva mai nemmeno immaginato: luoghi che custodivano l’essenza dei suoi sogni, le sue paure, la luce e il buio della sua esistenza. Lei leggeva la sua anima come se fosse un libro aperto. Perché le sue difese non erano servite a impedire quello spaziare incontrollato ? Perché a lei era concesso un volo d’aquila su cieli che non avevano confini ? Eppure aveva chiuso porte, alzato muri a protezione della fragilità feroce della sua esistenza. Aveva imparato com’era facile distruggere, com’era semplice trovarsi in mezzo alle macerie. No, non era una buona idea quella di stendersi ed affondare in quei ricordi, era pericoloso, rischiava di smarrirsi, di ritrovare il consueto chiedersi senza riuscire mai a darsi le risposte, esattamente quello che aveva complicato i suoi pensieri fino ad allora, fino a quel suo risveglio, fino alla decisione che infine aveva preso. Fece un respiro che gli permise di riporre i dubbi e le paure insieme alla voglia di rigirarsi dentro quel dolore. Doveva prepararsi, non c’era altro possibile rimedio a quell’eterno guardare l’orizzonte. "eppure questa sera ho voglia di scriverti.. ho voglia di dirti tante cose, tante da non sapere da dove cominciare. ma comincerò con il dirti che non mi stanco mai di averti intorno, di chiamarti "amore mio" e di sentirmi chiamare "amore mio". saremo anche ripetitivi, ma è questo che ci viene dal profondo, è questo che racchiude e che condensa i nostri pensieri e i nostri sentimenti. e ti dirò anche che ti amo perchè sei così, perchè questa vita non può essere fatta solo di soldi, televisone, calcio, macchine, economia e guerra, perchè io rivendico il diritto, e me lo difendo con le unghie e con i denti, di emozionarmi per le tue parole, per le tue mani su di me, per il mio desiderio di starti addosso, per il suono della tua voce, per i tuoi sussurri, per i nostri respiri. perchè mi voglio tenere stretto il mio diritto e il mio desiderio di incantarmi per ciò che di bello trovo intorno a me, sia essa una poesia o un quadro di Vermeer che mi lascia senza fiato, sia un cielo infuocato al tramonto o un albero in mezzo alla nebbia. e tu sei così, fai parte di ciò che mi incanta, di ciò che mi lascia per un momento senza fiato per poi riempirmi di felicità, per inondarmi della gioia di essere qui a pensarti, a pensare che sarò ancora tra le tue braccia. e lo sai che è l'unico posto al mondo dove vorrei essere.. tra le tue braccia, amore mio." L’acqua era calda e il vapore aveva invaso il piccolo bagno. Restò a lungo immobile sotto quel getto. Sperava che fosse in grado di lavare via le sue paure, sciogliere i dubbi, lasciargli solo la forza, solo coraggio. Riusciva a non pensare, riusciva a focalizzare l’attenzione sul limite di sopportazione del caldo di quell’acqua e ne aggiustava il flusso per poi restare fermo assaporando l’assenza di pensieri. Poi, d'improvviso, decise che il momento era arrivato. La pelle rossa e umida sembrava levigata dalla pietra pomice e quando ripulì lo specchio dal vapore, vide che gli occhi erano spenti, le labbra sembravano incapaci di proferire qualsiasi parola, strette, serrate, a guardia di un silenzio che era diventato vuoto e assenza. Si rase con una precisione maniacale passando con i polpastrelli la pelle dilatata e ripassando con la lama finché il risultato non lo soddisfaceva. L’acqua gelata con cui lavò i residui di schiuma da barba gli diede un primo sollievo e poi il dopobarba gli restituì una pelle senza fuoco. Tagliò le unghie a mani e piedi e poi si pettinò con cura. Scelse camicia, jeans e maglioncino come se qualcuno lo attendesse per una giornata condivisa. Diede un rapido sguardo alla sua casa per accertarsi di non aver lasciato luci accese e uscì sul pianerottolo chiudendo poi la porta alle sue spalle. Salì le scale lentamente, fino alla porta scura che dava accesso al tetto. Rimase un poco ad ascoltare il battito del cuore, la testa ancora sgombra di pensieri e un silenzio nuovo che circondava tutti i suoi timori. Si mosse lentamente, aprì la porta e poi fece i tre gradini che portavano a un terrazzino chiuso da muri di cemento. Qualcuno aveva provato a tendere dei fili probabilmente per utilizzare quello spazio angusto per la biancheria. Il cemento armato però non era adatto ai chiodi e un filo di metallo pendeva tristemente dalla scaletta che serviva ad arrampicarsi sul tetto vero e proprio. Un gran cartello rosso vietava a chicchessia l’accesso a quella scala poiché il tetto era sprovvisto delle “linee vita”, ma il tubo telescopico che serviva a fare scendere la parte mobile di quella scaletta era appoggiato lì, di fianco, alla portata di chiunque avesse necessità o voglia di salire. Prese l’attrezzo e con il gancio fece scendere la scala e poi si arrampicò sbucando su un piccolo piano, sempre in cemento armato, da cui partivano le lunghe file di tegole che arrivavano fino al limitare del tetto, fino al vuoto. Non c’era balaustra o protezione su quel piano e nonostante avesse ancora i piedi infilati saldamente in un gradino della scala, lui già sentiva un grido di terrore che stava nascendo tra il cuore e la sua gola. Strinse le mani e chiuse gli occhi sperando di riuscire a cacciare via la sensazione orribile del vuoto. Era lo stesso senso di terrore che aveva provato sulla Piramide di Chichén Itzà, in Messico. Eppure non aveva mai sofferto di vertigini. A Tikal era stato lui ad aiutare una ragazza a scendere dalla piramide più grande. Le aveva detto di girarsi, guardare la pietra dei gradini, scegliere il lato dove non era consumata da centinaia d’anni di salite e di discese. Lui era rimasto dietro di lei, lateralmente, per non essere travolto in caso avesse perso l’equilibrio ma sufficientemente vicino per aiutarla, per rassicurarla, tenerla per mano quando la paura era troppo forte. Ora era solo, non c’era nessuno con lui a rassicurarlo ed era proprio il vuoto quello che cercava. Doveva diventare un solo vuoto, fondersi con quello che portava dentro perché così il dolore si sarebbe finalmente spento e il silenzio avrebbe definitivamente vinto e cancellato quel rumore che proveniva direttamente dalla testa dove i pensieri non si fermavano mai, neppure un attimo, rendendo la sua vita un buco senza luce. Ad occhi chiusi cercò di respirare sempre aggrappato alla scaletta e già sentiva che la forza che lo aveva condotto fino al limitare di quella follia lo stava abbandonando. Non gli sarebbe mai riuscito il passo successivo, issarsi sopra il piano di cemento, sul punto più alto della casa, sei piani sopra la strada, senza che vi fossero maniglie o corrimano a dare sicurezza. Ma quello che voleva fare era proprio salire e poi lasciarsi andare. "ma di che distanze parli...? ma quale distanza metto tra te e me? ma quale frase che non hai compreso avrei mai detto? cos'è? cosa succede? cosa ci stiamo facendo? ci stiamo forse torturando, ci stiamo più o meno coscientemente massacrando? ho il timore che ci stiamo infilando in un buco nero. tu hai paura, io ho paura, ma cosa diavolo è questa cosa che ci logora in questo modo? io mi sento svuotata di qualsiasi energia, fisica e morale, è uno stillicidio. ci stiamo facendo del male, lo facciamo dicendo di amarci. ma se mi ami così tanto come dici, fammi stare bene, ti prego, fammi stare bene." |
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