Era
partito in pieno inverno con ancora qualche
linea di febbre, postumi di un'influenza malandrina arrivata proprio
una settimana prima di partire. Aveva
viaggiato in treno fino a Lussemburgo, tra cumuli di neve e un freddo
da
morire. Si era imbarcato poi su uno degli ultimi 707 ancora in servizio
e
dopo molte turbolenze e uno scalo alle Azzorre
era atterrato a Bridgetown,
Barbados. Il biglietto aereo costava relativamente
poco e l'isola era un paradiso tropicale. Ma non esistevano traghetti
per raggiungere il Venezuela. Ci vollero tre giorni per smaltire le
scorie dell'inverno europeo e altri due per realizzare che l'unico modo
per lasciare quell'isola incantata e il gracidare notturno
delle
rane, era in aereo. Caracas e poi Bogotà. Nella Capitale
colombiana aveva sofferto
di "soroche", il malessere provocato dall'altitudine ma aveva
visto il Museo dell'Oro ed era rimasto accecato dalla bellezza dei
manufatti degli antichi abitanti di quella terra. Una volta abituato
all'altitudine era partito verso sud, San Agustin, dove sparsi per
un'area di migliaia di chilometri quadrati c'erano statue e
architetture
precolombiane erette da un popolo in gran parte sconosciuto.
Raggiungere il villaggio
era un'impresa: da Popayan servivano dodici ore di viaggio su strade
che erano
poco più che mulattiere, arrampicate sui costoni delle
montagne,
quasi in bilico su burroni spaventosi.
L'autista si fermava ogni qualvolta un
indio sul ciglio della strada alzava un braccio e spesso si perdeva
molto tempo a caricare merci o solo a stringersi per far entrare i
nuovi passeggeri. A San Agustin fece la
conoscenza
con le punture
notturne dei pappataci che lasciavano la pelle maculata di bubboni
rossi che prudevano in modo insopportabile. I "gringos" visitavano il
"Parque Archeologico" in sella a cavalli di piccola taglia fumando
marijuana e mangiando tamales e frijoles. Era un paradiso e non c'era
traccia di Interpol ma lui e Giulia non erano pronti a
lasciarsi
andare.
Ancora insicuri, ancora spaventati dalla diversità di
quella terra rispetto a quello che avevano lasciato oltre oceano e in
più non erano ancora in grado di parlare il Castigliano e
quindi
vivevano ai margini di quella euforia. Dopo che un furto di
soldi
e documenti li aveva costretti a una trafila infinita tra polizia,
"Inmigracion" e Consolato italiano, attraversarono il confine tra la
Colombia e
l'Ecuador e lui
sentì che
l'aria in quel Paese era diversa. Si ritrovò a Otavalo, il
mercato Indio
più grande di tutto il Continente, e per la prima
volta ebbe la percezione esatta di se stesso, della realtà
che
aveva intorno: quella era l'America del sud, quelli erano Indios e
tutto intorno c'erano vulcani e strade che portavano
lontano. Trovò degli italiani che aveva conosciuto
sull'aereo, gli raccontarono di un piccolo villaggio dove potevano
fermarsi qualche tempo. Così si ritrovò la sera a
La
Esperanza, a casa della Signora Aida.
A pochi chilometri da Ibarra, La Esperanza era soltanto una dozzina di
case lungo la
strada che si arrampicava verso nord, sul fianco del vulcano
Imbabura.
Immerso tra boschetti di eucalipto e campi coltivati, il villaggio
sembrava addormentato, quasi che un sortilegio ne avesse fermato il
tempo. C'era silenzio intorno a quelle case, c'era quell'aria
rarefatta dovuta all'altitudine che non consentiva gesti affrettati
oppure
urla o voci concitate. Quell'incantesimo veniva
lacerato solo dall'autobus che arrancava fin lassù lungo la
strada fatta di pietre levigate, portando
indios, animali, gringos. Solo allora il paese si animava: i suoi
abitanti uscivano
per strada, a volte aspettavano l'arrivo di qualcuno oppure era
soltanto per ritirare merce. Poi, il
vecchio BlueBird spariva all'orizzonte e tutto si assopiva nuovamente.
Intorno la natura era dolce e rigogliosa; a sud la valle
era spaccata da profonde fenditure
dove correvano le acque che provenivano direttamente dalle nevi del
Cayambe. Il grande vulcano addormentato sovrastava tutta la regione e
la sua cima
innevata risplendeva al sole
come argento
puro. La strada invece continuava a nord, fino a El Angel, poi
diventava
viottolo, poi solo un sentiero, fino a disperdersi sulle pendici del
vulcano Imbabura. Le case erano basse, intonacate
di bianco e di celeste. Avevano cortili interni e terreno dove
venivano
coltivati ortaggi, patate e in un angolo i banani o "platani"
come venivano chiamati sia l'albero sia il
frutto.
La casa di Aida era alla fine del villaggio
e aveva mura spesse e molte
stanze con letti che erano poco più che
pagliericci. Serviva il sacco a pelo per dormire e il bagno era
semplicemente un fosso scavato nel giardino, coperto da un pianale in
legno scuro che aveva un buco sufficientemente ampio. C'era una doccia
a cielo aperto per lavarsi ma l'acqua calda si trovava solo a Ibarra.
Aida viveva nella stessa casa con i figli e
accoglieva tutti i viaggiatori
con il suo
sorriso triste. Assegnava i letti avendo solo cura di
separare i
maschi
dalle femmine anche se a volte c'erano così tante persone
che
questa
regola veniva abbandonata. Era minuta, aveva
occhi neri, profondi che non abbassava mai; la carnagione era olivastra
ma non aveva sangue
indio nelle vene. Parlava un po' di quechua e questo le permetteva di
avere buoni rapporti con la comunità locale.
Gli indios arrivavano al mattino, vendevano ortaggi e il latte
appena munto. A volte avevano maglioni, "chompas", oppure le camicie
ricamate che
erano vendute a Otavalo. Lei acquistava sempre qualche cosa, magari
solo un po' di burro o delle uova. Aida
era
una
donna forte e risoluta e come la maggior parte delle donne di quel
continente lavorava tutto il giorno senza mai un attimo di tregua. Il
marito aveva da poco
abbandonato lei e i suoi tre figli per accasarsi con un'altra donna e
così, ad
ogni gringo che arrivava, lei raccontava di
quell'abbandono e
del fatto che suo marito e la Maria, questo era il nome della sua
rivale, vivevano sfacciatamente proprio accanto alla sua casa.
Anche Maria
affittava stanze ai viaggiatori ma quelli che abitavano da
lei venivano serviti freddamente e stringere amicizia
con un gringo che abitava nella casa sbagliata equivaleva a schierarsi
in quella terribile contesa. Aida però aveva un grande
vantaggio: aveva
lavorato all'Ambasciata Americana a Quito e parlava
un buon inglese. Non obbligava i gringos a smettere di cimentarsi con
il Castigliano ma quando qualcuno era in difficoltà lei era
in
grado di
capire. Questa era una condizione di grande vantaggio sulla sua rivale
e le aveva permesso di avere persino una menzione su quella che allora
era la
bibbia delle guide: il "South American Handbook".
I turisti arrivavano fin lì da ogni parte
del mondo e
sapevano che avrebbero trovato "Casa Aida". Da lei la sera si
poteva anche
mangiare; serviva
zuppe deliziose e spesso si fermava a chiacchierare anche
se il suo discorso preferito era il marito e quella poco di buono di
Maria. Le sere erano fredde a La
Esperanza,
il
sole sorgeva puntualmente
alle sei del mattino per poi calare
esattamente dodici ore dopo. Poi era buio, fino al mattino dopo e la
comunità di gringos si ritrovava
nell'ampia sala a bere birra, fumare marijuana e raccontare ognuno il
proprio viaggio. Il paesaggio
intorno era magnifico ma ciò che faceva di quel luogo meta
imperdibile per i viaggiatori erano i funghi, gli Psilocybe Cubensis,
una varietà speciale che si trovava solo in quella terra
magica.
Mangiare i funghi allucinogeni era un
rito: bisognava partire di buon ora e incamminarsi verso il "rio", a
sud, dove la valle si spaccava. La strada costeggiava campi coltivati e
grandi appezzamenti di terreno
dove
il
bestiame
pascolava. La regola era semplice: dove c'erano mucche si
trovavano
i funghi. Nascevano direttamente sullo sterco ed erano di due
tipi: piccoli
e
fragili oppure un poco più grandi, bianchi, carnosi, con una
piccola corona sul gambo laddove la cappella si era aperta. Ma
non era facile trovarli; a volte i funghi venivano raccolti dagli
stessi indios che li mangiavano quando i soldi non erano abbastanza per
comprare alcool. A volte semplicemente era passato più di un
gringo. In ogni caso erano i funghi che decidevano da chi farsi
trovare. Erano loro a scegliere e
allora la "buena onda" era
indispensabile perché
altrimenti si passava tutto il giorno senza trovare nulla o peggio si
trovavano soltanto funghi marci il cui unico effetto era
la diarrea. Così, all'alba a La Esperanza, si potevano
vedere
piccoli gruppi
di
persone incamminarsi verso il fiume per poi tagliare attraverso
i campi e dividersi,
ognuno alla ricerca della razione di cibo degli dei. Una volta
trovato, il
fungo
andava preso delicatamente alla base, staccato dal terreno e poi
scrollato un poco per far volare via le spore. Ci si doveva
sedere
nello stesso luogo e con
un
coltello grattare via impurità e residui di sterco e di
terreno.
Poi si tagliava a pezzi e dopo averci messo qualche goccia di limone il
fungo era pronto per essere ingerito. Il gusto
era terribile, era la parte più difficile per lui, ma una
volta deglutita la quantità che riteneva
sufficiente, si
incamminava
verso
il fiume. In basso, la valle sembrava lacerata da un coltello
gigantesco
che aveva aperto una ferita ampia e profonda. Il prato finiva
così improvvisamente che era necessario stare attenti per
evitare di cadere nel burrone. La fenditura era profonda e
in
basso il fiume era impetuoso, se era stagione delle piogge, oppure
placido, con larghe pozze di acqua limpida e pulita. La parte opposta
della valle apparteneva ai militari che avevano una caserma nascosta
dietro un costone di montagna. Avevano i cavalli e li lasciavano al
pascolo sull'ampio prato che si estendeva fino al limitare della
roccia.
Loro, i gringos, restavano seduti sul bordo della fenditura ad
aspettare che l'alcaloide facesse il suo lavoro,
cullati dal rumore dell'acqua che scorreva in basso,
affascinati
dalla libertà di quei cavalli che pascolavano
tranquilli.
Un giorno decisero che il fiume era il loro
prossimo confine. Partirono un paio d'ore prima del tramonto e
avevano decine di candele e acqua nelle borse. Con lui c'erano Kate e
Manuela, poi si aggiunsero una coppia di tedeschi e Jorge, l'argentino.
Trovarono i funghi a due passi dalla strada, come se stessero
aspettando proprio loro. Non era così facile trovarli ma
quella
sera sembrava che la buena onda fosse ai massimi livelli. Ce n'era in
abbondanza e allora ne mangiarono una grande quantità.
Seduti
immezzo all'erba, finirono
quel rito e in silenzio percorsero la strada che portava al fiume,
quasi temendo che gli
effetti si facessero sentire prima di essere arrivati. Al limitare del
burrone presero il sentiero che scendeva ripido, quello che gli
indios percorrevano coi loro sacchi sulle spalle. Spesso
le mattinate in compagnia della psilocibina le avevano
passate
guardando il lento camminare di quegli indios che comparivano dal
nulla
sul lato estremo della valle. Seguivano un sentiero lungo e
tortuoso, a volte sfioravano i cavalli che alzavano la testa e
restavano per qualche istante immobili a guardarli. Poi
scomparivano per riapparire in basso mentre attraversavano il fiume,
scegliendo il luogo esatto dove le pietre permettevano il passaggio
senza rischiare di cadere nelle pozze oppure di essere travolti dalla
corrente. Poi li seguivano mentre si arrampicavano su quel
sentiero e li vedevano apparire, all'improvviso, come attraverso delle
porte
immaginarie, il carico portato sulle spalle, legato
con una sorta di cintura che poi passavano intorno alla fronte per
bilanciare il peso. Erano lenti, quasi che fossero in un universo nel
quale il tempo aveva uno scorrere diverso. A volte guardavano quei
gringos scoprendo le bocche in un sorriso che non aveva il minimo
pudore per la mancanza di gran parte della dentatura. A volte
riuscivano
anche a dire "Rimaykullayki" oppure "Buenos Dias", l'equivalente in
Castigliano, ma il più delle volte lanciavano soltanto uno
sguardo inespressivo, come se i gringos fossero rami di eucalipto.
Quella sera la discesa fu veloce e arrivarono al limitare delle acque
con ancora luce sufficiente; trovarono una piccola radura a
qualche
metro dalla fine del sentiero. Posarono le borse e misero coperte e
mantas sul terreno. Jorge fu il primo che si spinse proprio al
centro
del letto di quel fiume; l'assenza delle piogge aveva reso le
acque placide e
tranquille. Poi tutti gli altri lo seguirono e ognuno scelse
un posto dove sedersi, chiudere gli occhi, lasciarsi andare a quella
sensazione di essere parte di un magico universo. Sentivano il rumore
di
quell'acqua e seppero che arrivava da lontano. Era sicuramente stata
oceano; aveva visto
navi e uomini che sfidavano la vita per attraversarla. Con il
passare di quel tempo a cui la razza
umana
dava così tanta importanza, i volti di quegli uomini non
erano cambiati. Erano preoccupati se
l'acqua
era agitata oppure erano stanchi, gli
occhi
socchiusi, bruciati dalla nostalgia.
Poi
l'acqua si faceva più leggera, volava via attraverso i cieli
e diventava nuvole, vapore. C'era un momento i cui il vento si faceva
impetuoso e l'aria
si incendiava;
allora l'acqua tornava nuovamente acqua: gocce pesanti oppure neve, per
poi cadere al
suolo a volte con violenza a volte dolcemente. L'unica cosa certa era
che l'acqua tramutava in vita quello che era fango e roccia. Girarono
lo
sguardo e seppero che il flusso dei pensieri era mutato, il buio aveva
avvolto tutto il mondo e per un attimo ognuno di loro si
era sentito acqua, una piccola goccia in un oceano smisurato
oppure lo
scrosciare di una poggia poderosa. Accesero candele tutto intorno in
modo che il mondo venisse a conoscenza dell'energia che li attraversava
ed era facile pensare che chiudendo gli occhi avrebbero viaggiato con
quell'acqua fino all'oceano per chiudere così il cerchio di
quelle mutazioni. Sentivano di essere il respiro della terra, sentivano
ogni piccolo fruscio della miriade di vite di cui era fatto il mondo.
Nessuno di loro aveva freddo, c'era un leggero vento e le candele
servivano anche a dare il senso di un tempo che non apparteneva ai loro
sguardi. Poi, d'improvviso, fu necessario risalire il fiume, trovare
l'origine
dell'acqua perché solo così avrebbero scoperto lo
scopo
delle loro vite. L'acqua era la madre di tutte le esistenze.
Lasciarono allora le candele accese perché la luce era
certezza della loro essenza e senza dire una parola cominciarono a
risalire il corso di quel
fiume, passando da una pietra all'altra come quegli indios che vedevano
dall'alto. Non c'era bisogno di parlare
perché le loro anime erano aperte, spalancate e il flusso
dei pensieri
era
un sussurro che ognuno poteva leggere e capire e tutti erano parte di
un
unico
universo. La notte era profonda e la luna non era ancora sorta ma non
c'erano timori perché anche quel buio era una parte di
quella
sensazione di assoluta appartenenza. Salivano e a volte dovevano
fermarsi perché le sensazioni erano così forti
che era
necessario guardare gli altri occhi per non sentirsi sopraffatti dalla
necessità di diventare terra e acqua e sassi..
La voce esplose all'improvviso e fu come il frantumarsi di un
milione di esistenze. Tutti sentirono il fragore e si fermarono
di colpo, terrorizzati, senza capire esattamente che cosa avesse
tagliato in due il
flusso della vita. Quello che avevano vissuto fino ad un momento prima
stava scappando via lungo una strada che era già
lontana,
irraggiungibile. Loro erano bloccati e il luogo dove si
erano fermati era privo di atmosfera. Videro un uomo che imbracciava
un'arma e che parlava a voce
alta senza che riuscissero a capire uno solo dei concetti che
esprimeva. Si strinsero vicini, sopra lo stesso masso,
rischiando di cadere tutti insieme dentro la pozza che stava
leggermente a valle. Kate aveva preso la sua mano ed era strano sentire
per la prima volta il freddo. Jorge si staccò da Manuela e
fece un passo avanti:
- Hola amigo - disse rivolto al militare.
Anche quel suono era diverso ma i sensi erano oramai costretti in
quello
squarcio di realtà e non erano certi che tutti fossero in
grado di
sopportare il cambio repentino di quel viaggio.
- Que se paren ! - disse il militare e lui notò che l'arma
era
diretta verso il basso, verso di loro, come se indicasse
esattamente quali vite stesse minacciando.
- Adonde van ? - Il militare aveva fatto un passo avanti, verso di
loro, aveva scelto Jorge come interlocutore perché
guardava lui, almeno questo sembrava alla tenue luce della luna che era
finalmente sorta chissà da quanto tempo.
- Estamos caminando por el rio -
Forse
l'accento argentino di Jorge
avrebbe tranquillizato il militare.
- Non sapevamo che fosse proibito -
L'uomo restò immobile forse per mille anni secondo la
loro
percezione. Kate tremava e lui era certo che la coppia di tedeschi
stesse vivendo nel terrore. Lui sentiva freddo o forse il suo tremare
era dovuto alla paura.
Il
militare indugiò
ancora qualche
istante, poi
abbassò completamente l'arma e disse:
- Han comido hongos ? - e rise.
Dietro di lui apparvero come d'incanto altri tre suoi compagni e
cominciarono a parlare,
troppo velocemente. Due stavano ridendo e alla luce della luna
brillavano i loro denti
d'oro. Il terzo invece non rideva ed era visibilmente contrariato da
quella situazione.
- Sigue - ordinò uno dei nuovi e fece
segno col fucile di uscire dalle pietre. Si mossero con una cautela
quasi esagerata. L'effetto dei funghi aveva avuto un brusco calo e
questo in realtà era un bene in quella situazione. Il grande
pericolo era il panico che poteva prendere ognuno di loro in ogni
momento. La "mala onda" era pericolosa come una malattia letale. I
militari erano scesi di qualche passo verso di loro e due attesero che
tutti fossero fuori dal letto del fiume per avvicinarsi mentre gli
altri due si erano incamminati allontanandosi dal fiume facendo segno
ai gringos di seguirli. Dopo un breve cammino arrivarono in un angolo
sapientemente scavato nella roccia. Il lato contro vento era protetto
da un telo mimetico e nella parte più interna della
fenditura un piccolo fuoco bruciava in una latta che aveva contenuto
olio da motore. C'era un quinto uomo che aspettava in piedi
nei pressi dell'accampamento e appena furono vicini uno dei
militari lo aggiornò.
- Gringos - disse, nell'accezione più dispregiativa. - Han
comido hongos -
- Tomen asiento por allà - disse quello che
sembrava il capo
e indicava il fondo della fenditura, vicino al fuoco. Poi
inaspettatamente prese una caraffa e la mostrò chiedendo se
volevano del caffè.
Chiesero sigarette e furono contenti del pacchetto nuovo di Marlboro
che lui aveva nel marsupio. Mentre bevevano il caffè
bollente vollero anche sapere da quale paese provenivano. Forse
conoscevano
soltanto l'Inghilterra, e ovviamente
l'Argentina, L'Italia e la Germania erano luoghi oscuri i cui nomi non
risvegliavano ricordi. L'effetto dei
funghi era decisamente al termine e si stupirono quando un leggero
chiarore si palesò dietro al Cayambe. Erano quasi le sei del
mattino, erano passate più di dodici ore. Sentivano freddo e
stavano decisamente rimpiangendo le coperte e le mantas lasciate lungo
il fiume. Ma quando era successo ? Sicuramente secoli prima di quel
caffè bevuto in quelle tazze sudice e incrostate. I militari
dissero loro che avevano attraversato il limite concesso a
dei civili;
li
avevano visti quando avevano acceso le candele e poi li avevano
seguiti. Siccome erano turisti potevano tornare al loro albergo ma,
dissero, altri commilitoni avrebbero preteso molti soldi per lasciarli
andare.
Si alzarono sentendo nelle gambe una stanchezza inaspettata. I militari
intascarono la "mancia" e indicarono la strada. Due di loro li
seguirono
fino a una leggera
curva e rimasero a guardarli mentre scendevano appoggiandosi alle
pietre senza la sicurezza con cui erano saliti. Alla
radura trovarono le mantas e le coperte ma la salita fu
un'impresa che non avevano nemmeno immaginato. Dovevano fermarsi ad
ogni curva e quando finalmente arrivarono alla cima avevano il cuore
impazzito dentro il petto e la sensazione che non sarebbero riusciti
mai più a camminare. Dopo un poco di riposo riuscirono a
riprendere il cammino e arrivarono al villaggio che il sole era
già alto. Aida li guardò senza parlare e dopo
un poco
portò the caldo e dei biscotti.
Rimasero in silenzio per un tempo che sembrò a tutti
necessario per ritrovare le sensazioni della notte, mettere
ordine nella logica che la psilocibina aveva mescolato. Nessuno di loro
era in grado di separarsi dagli altri finché la coppia di
tedeschi decise di andare a riposare spezzando quella
forza che li
teneva insieme.
Lui
rimase solo con Aida e la
seguì ascoltando i suoi racconti, guardandola mentre
lavorava.
Cercava in quella realtà la sconvolgente sensazione di
appartenenza che aveva sentito forte nella notte.
Si
alzò ed era turbato.
Quei tempi erano lontani come una trasmissione da un pianeta
lontanissimo e in parte sconosciuto. Non c'era possibilità
di fuga dalla realtà della sua vita. Non c'erano sostanze
che potevano donare consapevolezze illusorie o artefatte.
Guardò il suo viso nello specchio e vide che il dolore aveva
appesantito le sue palpebre e le sue labbra erano strette, contratte,
come qualcuno che si aspetta il colpo di vento che spalanca le finestre
e il freddo che entra nelle ossa.
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