Tenendo gli occhi chiusi si appoggiò con il torace sul ripiano di cemento, le mani erano strette intorno all’ultimo possibile appiglio fornito dalla scala. Stava ansimando e il grido di terrore stazionava poco oltre la sua gola. Sarebbe stato facile lasciarlo uscire, forse sarebbe andata via anche la paura, ma in quella posizione anche gridare era pericoloso, anche tornare indietro, anche restare. Doveva rimanere immobile, scacciare via l’immagine del suo corpo che rotolava verso il vuoto con le sue mani alla ricerca disperata di un appiglio tra quelle tegole malferme. Sentiva in bocca un sapore forte, come di terra arsa dal sole, e il cuore stava esplodendo nel suo petto facendo un baccano spaventoso. Com’era arrivato fin lassù ? Come aveva potuto pensare che sarebbe stato facile ? Tante volte si era detto che sarebbe stata una questione di pochi secondi: chiudere gli occhi, fare un respiro e poi lasciarsi andare. Non era così. Sentiva caldo, sentiva un formicolio alle dita delle mani, strette sul metallo della scala; l’aria che arrivava ai suoi polmoni non era sufficiente e nello stesso tempo la testa gli girava e doveva spingere la guancia sopra la superficie irregolare del ripiano in cemento armato e sentiva che la pelle si andava lacerando. Aveva chiaro che non sarebbe stato in grado di muoversi da quella posizione e se nessuno fosse approdato per una fortuita eventualità a quel terrazzo, lui avrebbe passato la sua vita sdraiato sul cemento, come uno straccio messo ad asciugare e poi dimenticato. Era aggrappato a quella vita come il filo di metallo che pendeva poco più in basso, un capo legato saldamente e l’altro alla deriva, non agganciato a nulla, dettaglio che rendeva inutile la sua lunghezza, lo spessore, il peso che poteva sostenere. Perdeva senso persino la tenacia con cui era legato: non era questo un dato che aiutava a dare un senso all’esistenza: qualsiasi fosse la realtà c’era un lato di lui che penzolava nel vuoto e nell’assenza. Lei aveva detto che era esagerato, lui aveva pensato che la vita, qualsiasi vita, aveva un suo valore. Ma gli uomini non sono in grado di sopravvivere alle separazioni, non sanno dare un senso all’esistenza, sono bambini a cui è stata tolta la possibilità, seppure immaginaria, di tramutarsi in impavidi guerrieri, sentirsi forti, sfidare draghi ed eserciti nemici. Allora non rimaneva che l’annientamento, spegnere per sempre quel rumore che sentiva nella testa, quello che non si acquietava mai, nemmeno un minuto. Tutto era accaduto qualche mese prima ma era da qualche tempo che una sottile dissonanza si era infilata chissà in che modo tra di loro. Non era più la perfezione di pensieri e gesti che aveva accompagnato l’esistenza, era iniziato un lento declinare fatto di parole che andavano cercate con la massima attenzione per non urtare la sua nuova insofferenza. Aveva pensato che fosse la monotonia dei giorni, i molti impegni, il tempo che non bastava mai; aveva accolto la nuova situazione senza drammatizzare cercando di essere presente il più possibile. C’erano momenti in cui la luce non era in grado di accendere i suoi occhi e la malinconia rendeva lento e indecifrato il suo guardare. Con il passare del tempo la nota dissonante era diventata uno stridio e non era più possibile ignorare la loro quotidianità svuotata di ogni contenuto. Così le aveva chiesto che cosa stesse accadendo e le sue risposte erano vaghe oppure rabbiose. A volte erano solo lacrime che lui non era in grado di capire e il vuoto stava già prendendo forma e consistenza dentro di lui. - Io non posso neanche immaginare di fare a meno di te - aveva detto. Poi una mattina il mondo fu inghiottito senza che fosse possibile trovare ancora traccia di una qualsiasi vita intorno a sé. Un suo messaggio partito per errore spiegava il tempo, le distanze, le lacrime e tutto il gelo che abitava la sua pelle: c’era una vita parallela, altre emozioni che accendevano i suoi occhi. In quel momento era iniziato il lungo viaggio, una discesa inarrestabile verso abissi di cui non aveva mai supposto l'esistenza. Tristezza, smarrimento, rabbia; immagini che laceravano le notti, pensieri che bruciavano come se fossero veleno puro e un furore cieco per quello che a lui sembrava inchiostro nero che piano stava ricoprendo il suo universo e che impediva a calore e luce di filtrare dentro il baratro nel quale era caduto. Lei era semplicemente assente, ormai rapita da quell’altra vita e lui aveva cominciato una rincorsa affannosa e vana nella speranza di ritrovare la donna che aveva dato luce ad ogni cosa. Più rincorreva e più lei si nascondeva. Niente di nuovo dunque, niente che non fosse già accaduto per tante volte quante erano le lacrime versate per amore, ad ogni latitudine di questo mondo e chissà, magari anche lontano, oltre le stelle. Quando si era reso conto che lei non era più la stessa donna, lui aveva chiuso porte e finestre cercando di scacciare via qualsiasi traccia di lei dalla sua casa, nel tentativo vano di addormentare quel dolore, renderlo umano, sopportabile. Invece il tempo non serviva e non servivano nemmeno le persone che si erano affollate intorno a lui. Si alzava la mattina dopo le notti insonni e tormentate e aveva lei nella sua testa e continuava a tormentarlo fino a sera, fino a che chiudeva gli occhi e veniva assalito da paure e immagini come se fossero un branco di lupi pronti a sbranare quel poco che restava di lui, della sua carne. Col tempo aveva anche immaginato di uccidere, uccidere lei oppure lui, oppure entrambi. Dentro quei sogni malati di una malinconia mortale, lui non uccideva mai con le sue mani perchè toccarla apparteneva al desiderio e il desiderio era invincibile, immortale e abitava la sua pelle e non sarebbe finito mai, fino alla fine dei suoi giorni. A volte invece immaginava di riuscire a tenere gli occhi chiusi, in autostrada, mentre guidava la sua auto. Bastava un attimo e tutto quel dolore sarebbe andato via, finito, e il silenzio sarebbe finalmente tornato ad abitare la sua testa. Mesi passati così, senza riuscire a vivere, senza che la sua assenza riuscisse a diventare nemmeno per un attimo passato. Un lungo addio che si ripeteva ogni momento, ogni minuto, per tutti i giorni di quella vita orribile. Fino a quel giorno, fino al ripiano sul tetto della casa, la guancia che si fondeva con il cemento, la forza che piano abbandonava le sue mani. Doveva muoversi, fare qualcosa: braccia e gambe erano intorpidite e la testa gli doleva; non sarebbe riuscito a rimanere a lungo in quella posizione. Doveva provare a muoversi, tornare indietro, a casa sua. Poi avrebbe riflettuto su quella follia e forse avrebbe anche trovato la forza per andare oltre quel dolore, l'unica cosa di lei che ancora rimaneva. Gridò e l’aria uscì dai suoi polmoni ferendo la sua gola come se fosse carta vetrata. Tenendo sempre la guancia pressata sul cemento, riuscì a staccare le mani dalla scala e le portò sul limitare del ripiano; mosse anche i piedi spostandoli di lato. Aveva ancora gli occhi chiusi, sentiva le lacrime che uscivano e il dolore aveva preso possesso di ogni muscolo, ogni articolazione. Voleva girarsi, gli occhi rivolti al terrazzino, voleva calmare il tremito che percorreva tutto il corpo; le gambe non erano più in grado di sostenere pesi e poi voleva anche fermare il cuore che stava esplodendo dentro il petto. Poi avrebbe fatto ritorno a casa sua, si sarebbe sdraiato sul divano e forse avrebbe amato di nuovo la sua vita. Così alzo la testa, cercò di bilanciare il peso sulle braccia, intorpidite dalla posizione che avevano tenuto per un tempo troppo lungo. Trattenne il fiato, la testa gli pulsava e il terrore gli impediva di tenere gli occhi aperti. Rimase per un attimo sospeso in quella posizione e poi sentì la forza che lo abbandonava; le braccia si piegarono in modo innaturale senza riuscire a sopportare il peso. Le mani persero l'appiglio e il mondo d'improvviso si mosse in modo inaspettato, senza rispetto per le regole consuete che davano un "sopra" a quello che era in alto e un "sotto" a tutto ciò su cui era possibile appoggiare l'esistenza. Non vide da che lato scivolava. Riuscì solo a pensare che la paura era sparita e mentre sentiva il vento intorno al corpo che cadeva si domandò se avrebbe sentito male.