L'avevo
detto a Gaetano
e lui senza nemmeno un tentennamento aveva
detto che era la cosa più bella che ci potesse capitare.
Disse che
avrebbe subito scritto una lettera a sua madre per annunciargli che si
sposava e che presto sarebbe arrivato un nipote.
Disse proprio
così e probabilmente questo era l'esatto contenuto della sua
lettera.
Non avevo avuto il minimo dubbio che lui potesse abbandonarmi,
avevo la certezza che fosse innamorato di me, lo vedevo nei suoi
occhi, lo vedevo nell'urgenza che aveva di scrivermi lettere
appassionate nei lunghi giorni in cui non potevamo
vederci.
Mamma,
invece, Il giorno in cui seppe la verità, dopo avermi
schiaffeggiato e insultato, mi disse che era un bene che
papà fosse già morto altrimenti lo avrei
ucciso io
con quello che avevo combinato.
Rimasi ferita da quelle parole, molto
più degli insulti e il male che sentivo dentro era molto di
più di quello che gli schiaffi avevano lasciato sul viso
rigato
dalle lacrime. Papà era morto di dolore perché
aveva perso Palma ma io e Assunta eravamo vive e avevamo il suo sangue
nelle vene e lo aveva anche il figlio che stava crescendo
dentro
la mia pancia.
Era un
dono di Dio
e non una colpa.
Assunta guardava quel dramma di lacrime e di grida
senza
dire una parola, senza guardarmi mai, nemmeno per
errore.
Zia
Ata
lasciò che la tempesta si placasse quel tanto che bastava
per
poi prendere in mano le redini di tutto.
Così, dopo due
giorni
di urla e
di
pianti, riunite intorno al tavolo, noi donne, vedove e orfane
di
padri e di mariti, ognuna di noi con dentro dolori insopportabili,
cercammo di trovare la forza per
asciugare tutte le nostre lacrime e guardare a un possibile futuro.
Zia
stabilì che bisognava conoscere l'unico
uomo di questa tempesta.
– Maria si deve sposare e le cose da fare sono
mille volte mille – disse come a sancire che il
tempo delle grida era
finito.
Poi, tra lo stupore di mamma e di Assunta disse che c'era anche
un'altra possibile via d'uscita da quel temporale:
conosceva una donna, una vecchia "mammana", che in cambio si soldi
poteva
"levarmi d'impiccio".
Disse proprio così.
Gaetano
venne a
parlare con mamma qualche giorno dopo mentre zia Ata stava dietro la
porta della sala ad ascoltare.
Si presentò con la camicia
inamidata e il farfallino e i suoi occhi neri ammorbidirono un poco la
tensione.
Lui era
comunque un buon partito: aveva un lavoro sicuro e aveva anche una
piccola
rendita mensile.
La casa a Roma era in affitto e sarebbe stata
sufficiente per noi e per il bambino.
Non c'erano problemi se non
quelli morali.
Mamma gli disse che doveva anche parlare con sua madre e
lui rispose che stava aspettando la risposta alla sua lettera.
Lei,
la madre di Gaetano, arrivò a Roma solo passata Pasqua,
quando
la data del matrimonio era stata fissata e i preparativi
erano già molto avanzati.
Non aveva risposto
alla lettera e non si era fatta trovare agli appuntamenti che, tramite
il
posto di telefono pubblico, suo figlio aveva organizzato.
Quando
chiedevo, lui si rabbuiava e mi diceva solo che non sapeva niente per
poi cambiare subito discorso.
La domenica in Albis, durante tutta la
messa, Gaetano non mi guardò nemmeno una volta e poi, finita
la funzione, voleva scappare via senza nemmeno salutarmi.
– Gaetano, che cosa ti succede ?
–
– Niente Mariè, sono solo un poco
"sfasteriato" – Girava la
testa da una parte all'altra come se stesse cercando qualcosa o
qualcuno.
– Devo
tornare alla bottega, ci sono due banchetti tutti da
preparare
–
Era
plausibile quello che stava dicendo, però non mi guardava e
questo proprio non
era consueto.
– Gaetà io ti conosco troppo bene, mi
stai nascondendo qualche
cosa –
Mi
piazzai davanti a lui e per un attimo riuscii a guardarlo dritto negli
occhi. Erano spenti, erano senza lucentezza.
Lui
sospirò e si infilò le mani in tasca mentre
guardava qualcosa che stava assai lontano, lungo la strada, qualcosa
che vedeva solo lui.
– Ieri è arrivata mamma da
Napoli – disse dopo un silenzio
fastidioso.
– È
andata via questa mattina
e non
verrà al matrimonio –
Rimasi
impietrita,
come una statua di Pompei. Sentivo un formicolio alla base
della nuca e un mare di pensieri velenosi mi attraversò da
capo a piedi.
Ebbi
paura che Gaetano stesse per dirmi che non mi avrebbe più
sposato.
– Mariè tu non ti devi
preoccupare –
disse, e aveva gli occhi lucidi.
Ci sposammo a Maggio e andammo in Municipio come se dovessimo sbrigare
una faccenda fastidiosa: io, Gaetano e mamma, senza nemmeno Assunta o
zia Ata.
I testimoni erano impiegati dell'Ufficio Comunale e sorrideva
solo il Delegato del Sindaco che si sforzava di dare un tono solenne a
quella cerimonia.
Ma i suoi sorrisi erano forse il frutto
dell'imbarazzo per uno strano matrimonio: tre sole persone e nessuno
sembrava essere
felice.
Non ci fu neanche un altare per la nostra promessa di eterna
fedeltà, nessuna festa. Venne il Curato in
casa di zia
Ata e tutto si svolse velocemente, senza sorrisi o fiori e il
prete era visibilmente infastidito, come se fosse immerso in una vasca
piena di pescecani.
Fu quasi peggio che in Municipio e non mi consolava
il fatto che alla fine di quello strazio sarei andata a casa di
Gaetano, avremmo chiuso la porta e saremmo rimasti io e lui e la
creatura che portavo in grembo.
No, non era quello il matrimonio che avevo sognato.
Ma il peggio stava aspettando con
pazienza.
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