Mi svegliai di soprassalto e per il dolore cacciai un grido.
Era notte e forse mi ero addormentata, cullata da quella coperta calda e dalle parole di Carmela.
Lei era seduta vicino a me e mi prese la mano.
– Marì state tranquilla, non è niente –
Io ansimavo, ero sudata e avevo dentro il ventre qualcuno che stava mordendo la mia carne.
– Vi siete addormentata e ora avete una contrazione. Va tutto bene –
La contrazione stava durando troppo e mi girai a guardare Carmilina per vedere se era allarmata pure lei. 
In quel momento la morsa si allentò e sempre ansimando mi misi distesa sopra il letto tenendo gli occhi chiusi con il cuore che mi esplodeva dentro il petto.
Vi vado a preparare un po' di camomilla  mi disse alzandosi.
 Va bene Carmilì ma tornate presto ché non voglio stare sola 
C'è la Commara qui con voi Maria  disse indicandomi la donna vestita di nero seduta in fondo alla stanza.
Non mi piaceva il fatto che non fossimo io e lei sole, ma lo capivo che Carmela doveva avere aiuto in questo suo lavoro.
Il fatto era che avevo paura, avevo paura di morire. Avevo paura che Dio mi avrebbe punito per quello che stavo per fare e dopo tre parti senza particolari problemi avevo paura di quello che poteva accadere.
Quando era nata Silvanella c'era mamma insieme a me e una donna austera e vecchia aveva dato ordini a lei, a me e a zia Ata mentre Assunta era in cucina a scaldare acqua e preparare infusi e tisane. Poi, a Napoli, Mario e Peppino erano nati in casa della strega cattiva, la suocera, che probabilmente aspettava soltanto che qualche incidente levasse di torno la nuora che odiava.
Mario era uscito quasi senza dolore e Peppino aveva preteso un travaglio un poco più lungo.
Amelia era stata sempre vicino a me, per proteggermi, come diceva lei, dalla malevolenza di quella donna arida e cattiva. Lei era il mio cardellino, cercava di assorbire tutta la cattiveria che era riservata a me. Sapevo che in quel preciso istante lei era in casa mia e che stava pregando la Madonna di volgere il suo sguardo su di me. Io mi sentivo sola ma per fortuna Carmela non era la strega cattiva perché altrimenti sarebbe stato davvero meglio morire invece di vivere quel brutto sogno che era diventata la mia vita.
Carmela tornò con una tazza fumante di camomilla senza zucchero. 
 Bevetela Maria, vi farà bene e vi rilassa i muscoli 
Mi alzai e mi misi seduta e subito la Commara arrivò a mettermi uno scialle sopra le spalle. Presi la tazza con due mani perché non lo sapevo se la forza mi bastava per prenderla con una mano sola. Il caldo della camomilla mi faceva quasi soffocare ma poi, quando scendeva, sentivo che allentava i morsi, quelli sparsi tra la gola e la pancia e quasi mi passava la paura. Mi misi a piangere e le lacrime mi uscivano senza che io potessi fare nulla.
 Scusate Carmela, non so cosa mi prende 
 State tranquilla Maria e se avete voglia di piangere fatelo pure senza pensarci troppo 
Stavo crollando e invece non potevo permetterlo. C'erano tutti quelli che volevano annientarmi appena dietro l'angolo di quella prova enorme che Dio aveva previsto per me e per la povera creatura che stava nascendo. L'odio di quella donna si era amalgamato con la pochezza di mio marito e aveva generato accuse contro le quali io non potevo opporre nessuna resistenza.
Ero da sola a difendere i miei figli da una manovra calcolata e messa in atto per annientarmi ed estromettermi dalla loro vita.


Gaetano era napoletano ed era a Roma perché il titolare della Pasticceria era un amico di famiglia. 
Fuori dal suo bancone pieno di dolci profumati, era quasi irriconoscibile, vestito con un completo a righe e la camicia inamidata.
Era elegante, ben curato. Gli occhi cercavano insistentemente qualcosa su cui soffermarsi senza trovarlo mai.
Mi chiese se volessi una tazza di te o una cioccolata e ci mettemmo seduti al tavolino. 
Io mi guardavo intorno, avevo il terrore di incontrare qualcuno che conosceva mamma o zia Ata.
Sapevo bene che quello che stavo facendo non era quello che ci si aspettava da una signorina di buona famiglia.
Però Gaetano aveva gli occhi più belli che avessi visto mai e mentre lo guardavo, pensavo a come sarebbe stato bello sentire le sue mani dentro i miei capelli.
Restai stordita a lungo, lui stava parlando ed io sentivo il suono della sua voce ma non capivo niente.
Ero in balia di una tempesta, riuscivo solo a pensare a come stessi annegando dentro quel mare sconosciuto e contemporaneamente sentivo che mi piaceva tanto, ma così tanto che se alla fine io fossi morta ne sarebbe valsa comunque la pena.
Feci un respiro profondo, al diavolo le conseguenze, le botte o la brutta figura: stavo vivendo un sogno ed era indispensabile stare a vedere come andava a finire.
Gaetano mi guardava, stava chiedendo qualche cosa ed io dovevo avere un'espressione non proprio intelligente.
 Allora non me lo volete proprio dire come vi chiamate ? 
Ecco, dovevo dirgli il nome.
Lungo la strada mi ero preparata: un sospiro appena accennato, un'aria un poco assente e il nome pronunciato forte e chiaro, oppure guardarlo dritto in quei suoi occhi scuri e sussurrargli il nome come se stessi raccontando l'anima mia. 
La voce però probabilmente era distratta da tutte quelle emozioni e quello che ne uscì era un patetico cognome e nome come se Gaetano fosse un carabiniere.
Quel pensiero mi diede una scossa, come un brusco risveglio e guardai quella scena con gli occhi invece che col cuore. Avevo diciassette anni, era il venti gennaio del millenovecentoventi e quello che stavo facendo non era adatto a una signorina. Gaetano poteva pensare che fossi una poco di buono. 
 Devo andare  dissi e mi alzai.
 Vi posso accompagnare?  Aveva gli occhi che brillavano ma io non gi risposi e andai via.
Entrando dalle Monache giurai a me stessa che non sarei mai più passata dalla Pasticceria, che non avrei mai più rivisto Gaetano, avrei dimenticato anche il suo nome e in questo modo, forse, sarei riuscita a cancellare la pessima figura che avevo fatto davanti a tanta gente.
Una ragazza per bene che parla con uno sconosciuto e addirittura si siede al tavolo di un locale pubblico.
Davvero da non credere.

Zia Ata era rimasta vedova che era ancora giovane.
Si era sposata a Magliano con un Direttore delle Poste che aveva da poco perso la moglie, morta di parto.
Lui era rimasto solo con i tre bambini e nessun parente che potesse assumersi la responsabilità di farli crescere senza una madre.
Si era rivolto al Parroco e Don Giustino gli aveva consigliato una giovane di buona famiglia che sicuramente sarebbe stata onorata di accettare.
Così, Severo Tibaldi, si presentò alla porta di casa dei nonni e aveva un bigliettino dentro la tasca per ricordarsi il nome di quella giovane donna, nome non proprio comune, nemmeno per quei tempi.
Il nonno ascoltò quello che il Direttore aveva da dire e poi rispose che avrebbe avuto la sua decisione nel volgere di una settimana.
In realtà nonno aveva già deciso: dal primo momento in cui il Parroco gli aveva raccontato di Severo, lui aveva pensato che fosse una gran fortuna, con tante scuse alla buonanima della sua prima moglie che aveva lasciato anzitempo questo mondo.
Ma nonno era un uomo tutto d'un pezzo ed era fermamente convinto che non si dovesse mai rispondere in modo impulsivo.
Meglio riflettere e dare l'impressione di una valutazione attenta.
Così dopo una settimana, nonno Sisto tramite Don Giustino, invitò Severo Tibaldi e gli annunciò che acconsentiva alle nozze e gli concedeva la mano di Anelata.
Nonna Cleofe fu incaricata di condurre la ragazza al cospetto del suo futuro marito e zia Ata seppe solo allora che presto avrebbe dovuto abbandonare quella casa, lasciare i suoi fratelli, dormire nel letto di uno sconosciuto e accudire ai suoi figli in una casa grande che stava al lato della piazza di Magliano.
Neanche il tempo di sentire il suono della voce.
Avrebbe rivisto suo marito solo all'altare e poi in Municipio.
Dopo due anni, Severo fu promosso Ispettore e tutta la famiglia si trasferì a Roma.
Tutta Magliano ricordava la loro partenza: i tre figli di lui con la faccia smarrita e Zia Ata che sembrava la loro sorella maggiore.
Nonno Sisto aveva la bocca serrata e nonna Cleofe piangeva tenendo intorno a se gli altri suoi figli.
La carrozza a cavalli portò la famiglia alla Stazione di Terni e il viaggio per Roma durò tutto il giorno.
Arrivarono a sera e avevano fuliggine nera negli occhi e dentro il cuore.
Roma era grande, piena di gente e gli inverni non erano freddi come a Magliano, così zia Ata scoprì i mercati pieni di frutta e di verdura, seppe che d'estate spirava un vento che attenuava l'afa e che la città aveva mura che appartenevano a una antica Capitale di un Impero vasto e potente.
Severo era un uomo buono e amava i suoi figli; assicurava a tutta la famiglia una vita agiata e i ragazzi ebbero, per la loro educazione, i migliori collegi Salesiani. Portava zia Ata all'Opera ed era un marito premuroso e rispettoso.
Nessuno seppe mai perché non ebbero altri figli.
Alle sorelle, zia Ata diceva solamente che i tre che aveva trovato le davano già molto da fare.
Una domenica mattina, quando erano a buon punto i preparativi per festeggiare il nuovo secolo, zia si svegliò e trovò di fianco a sé Severo, morto durante la notte. Trombosi cerebrale, disse il dottore e la notizia fu pubblicata addirittura sul giornale.
Contrariamente a quanto tutti si aspettavano, zia Ata non ritornò a Magliano ma restò a godersi una libertà inusitata per una donna adulta di fine diciannovesimo secolo. Con la scusa del lutto rispose di no a tutte le richieste di matrimonio che gli venivano sia da Magliano, sia dagli ambienti raffinati a cui il marito l'aveva abituata. Cominciò a studiare arte, partecipava a conferenze e andava a visitare i luoghi dove la storia dell'antica Roma aveva lasciato tracce millenarie.
I figli di Severo tornavano a casa dal Collegio solo il mese di Agosto ed erano ogni anno più grandi e sconosciuti.
Zia, invece, andava a Magliano solo per seppellire i morti e si lasciava dietro di sé i pettegolezzi degli adulti e l'ammirazione delle bambine, affascinate dai suoi vestiti lunghi e dalla nomea di donna libera e chiacchierata che accompagnava le sue visite.
Mamma ci aveva raccontato mille volte la storia del matrimonio di zia Ata.
Io e Assunta eravamo terrorizzate all'idea che un giorno o l'altro si sarebbe presentato a casa un vecchio con l'aria assonnata e il pizzetto ben curato a chiedere a papà la mano di una di noi.
Palma diceva invece che era affascinante lasciare al destino l'incarico di scegliere per noi ragazze da marito e non un guazzabuglio di relazioni complicate. 
Assunta replicava che se il destino voleva dire un vecchio con l'alito cattivo allora era meglio andare al fronte, curare gli uomini che davano la vita per la nostra patria.
Lui, il destino, stava aspettando Palma in un pomeriggio di dicembre quando la carrozza che la riportava a casa insieme a papà restò bloccata da una tempesta di neve. Si ripararono in un fienile abbandonato e quando al mattino dopo i mezzadri riuscirono a trovarli erano quasi morti di freddo tutti e due.
Io e Assunta capivamo che qualcosa di molto brutto stava capitando. Nessuno aveva tempo di badare a noi.
Stavamo nascoste dietro la grande madia tenendoci per mano e guardavamo gli occhi smarriti di mamma e tutte le donne della contrada che si affannavano in casa nostra tenendo il fuoco sempre acceso nel camino, scaldando acqua e panni puliti per fare impacchi di malva e di stramonio. Davano ascolto agli uomini che a turno si affacciavano per avere notizie e ricevevano in cambio richieste di altra legna da bruciare o carne di gallina e ossa di bue per preparare il brodo.
Dopo due giorni, quando finì di nevicare, arrivò il medico da Terni.
Rimase a lungo ad ascoltare il respiro difficile di papà e scosse la testa quando sentì la fronte di Palma che scottava come un braciere dentro una stanza.
Provarono in tutti i modi a salvare Palma dal suo destino ma una mattina lei smise di respirare e nello stesso istante papà ebbe la convinzione che Dio, forse per la prima volta, aveva sbagliato.

 Sapete che ore sono? 
 Sono le cinque e mezzo, Maria 
Avevo dormito tanto e non era davvero consueto in pieno travaglio. Ma forse le prime contrazioni erano date dalla creatura che si metteva in posizione.
 Ma siete stata sempre qui Carmilina? 
 No Maria, è stata la Commara qui con voi. Io ho dormito fino a mezzora fa 
Se me lo permettete, vorrei guardare a che punto siamo 
Dissi di si e chiusi gli occhi cercando di calmare l'ansia, convincermi che quella notte potesse anche finire e ritrovare un po' di forza per affrontare la strega cattiva, mio marito, la donna che gli stava intorno. 
Carmela mi guardò a lungo tra le gambe. Sentivo le sue dita calde che si infilavano nel cuore di tutti i miei dolori. Quelli di parto, ché quelli di cuore stavano racchiusi dentro l'anima insieme alla paura di rimanere veramente sola.
L'avevo promesso ad Assunta, le avevo detto che non saremmo mai rimaste sole ma lei aveva scelto di partire per un mondo lontano come un sogno.
Si era sposata un uomo che lavorava alla Croce Rossa, dove arrivavano gli abiti che lei cuciva.
Lui era un idealista, un sognatore e non sopportava di vivere costretto dentro le quattro mura di una casa, di una città, di una nazione.
Voleva eliminare tutti confini, le convenzioni, le autorità e aveva una gran paura dei gruppi che stavano nascendo intorno a un uomo, un giornalista, che sempre più spesso era sui titoli di tutti i giornali.
Partirono per l'America con un biglietto di sola andata in prima classe e fecero il viaggio con una nave stipata di persone.
L'unica traccia che rimase di loro era una lettera arrivata più di sei mesi dopo in cui Assunta diceva che stava bene e che l'America era diversa da come la immaginava: era precipitata in una povertà infinita e forse, lei e Gualtiero, sarebbero tornati a casa, appena trovati i soldi per il biglietto della nave.
Mamma voleva scriverle che i soldi li avrebbe messi lei ma Assunta si era dimenticata di mettere l'indirizzo. Poi solo un silenzio pieno di domande e lettere affidate a chi intraprendeva lo stesso viaggio che aveva fatto Assunta, nel caso avesse incontrato lei oppure suo marito.
 Il sacco è ancora intero Maria, forse tra poco dovremo romperlo 
Carmela si lavò le mani dentro la bacinella di acqua calda che aveva usato per riscaldarsi prima di toccarmi.
 Ma la creatura è nella posizione giusta? 
 Si Maria, secondo me ci manca poco. Forse prima che venga il giorno riusciamo a farla nascere 
 Grazie Carmela per tutto quello che state facendo 
 Non lo dovete dire Maria 
Avevo ancora gli occhi pieni delle mie lacrime e avevo chiaro dentro di me come i problemi che stavo affrontando fossero figli anche della progressiva distruzione del mio mondo. Palma e poi papà e poi Magliano. Assunta, svanita in un continente lontano e Roma strappata via da una decisione tanto improvvisa quanto figlia della necessità da parte della strega cattiva di avere vicino a sé suo figlio, l'uomo che avevo scelto per fare una famiglia mia.
Poi anche mamma morì mentre zia Ata rimase l'unica testimone del mio passato.