A questo punto la ricerca si spostava su internet per raccogliere informazioni sulla Casa Santa dell'Annunziata, il Brefotrofio verso il quale Efisio Perisi aveva inviato la mamma. La storia di questa Istituzione è affascinante, affonda le sue radici in un passato lontano più di seicento anni e arriva fino ai giorni nostri, mantenendo intatto attraverso il tempo lo scopo per il quale il complesso era stato concepito: dare assistenza ai bambini abbandonati. E sono stati migliaia in sei secoli di storia: indesiderati, illegittimi, oppure semplicemente figli di qualcuno che aveva solo un nome e forse anche un cognome ma nient'altro da offrire, nessun futuro in cui sperare. Dalla metà del quattordicesimo secolo fino al 1980 il Brefotrofio aveva proprio il compito di dare un'altra possibilità ai "Figli della Madonna". La "Ruota" era la porta d'ingresso: dall'altra parte c'era sempre qualcuno ad accogliere i bambini che spesso avevano addosso solo stracci. A volte, con i vestiti, c'erano piccoli oggetti, immaginette tagliate a metà oppure piccoli pezzi d'oro o d'argento con molta probabilità utili per riconoscere il proprio figlio se le condizioni che avevano spinto le madri all'abbandono fossero mutate. I bambini venivano lavati e registrati. Con un laccetto veniva legato al collo una placchetta di piombo che recava da un lato l'immagine dell'Annunziata e dall'altro il numero di matricola dell'Esposto con una lettera che si riferiva all'anno. Il "merco", così si chiamava, non poteva essere tolto finché il bambino non lasciava il Brefotrofio. La ruota fu bloccata definitivamente nel 1875 perché era utilizzata anche per bambini le cui dimensioni erano inadatte alla "capacità" del tamburo di legno: venivano cosparsi di olio ma le conseguenze, nella maggior parte dei casi, erano letali. Oggi i locali dell'Annunziata sono fatiscenti e necessitano di interventi strutturali urgenti. Contengono un autentico tesoro: preziose pergamene, una biblioteca medico-scientifica e soprattutto la storia di migliaia di piccoli "esposti". Molti di loro morivano durante la prima settimana, i più fortunati venivano dati in affido a balie esterne per essere allattati e svezzati. E spesso questo voleva dire sopravvivere all'abbandono.



Sul sito del Comune di Napoli c'erano tutte le informazioni per accedere all'archivio storico della Real Casa dell'Annunziata. Bisognava presentare domanda indicando i dati dell'esposto e il tutto era regolato da alcune disposizioni legislative che, tra l'altro, stabilivano che si fosse ammessi alla visura dopo 70 anni dalla data dei documenti, nel caso di bambini non riconosciuti alla nascita e addirittura cento anni se si trattava di cartelle cliniche o registri di maternità che rendevano identificabili le "donne che non desiderano essere nominate". L'unico problema era la chiusura temporanea del servizio perché i locali avevano infiltrazioni d'acqua e non era chiaro quando avrebbero riaperto. Il personale, contattato per telefono, mi aveva gentilmente suggerito di fare comunque la domanda. Alla riapertura mi avrebbero chiamato per concordare l'appuntamento. Dopo poco più di un mese, infatti, una persona mi preannunciò telefonicamente che dai primi giorni di Giugno l'archivio avrebbe riaperto al pubblico e quindi era possibile stabilire giorno ed ora dell'appuntamento. La Signora Renzi, questo era il suo nome, mi disse anche che tra i documenti inerenti alla mamma c'era una busta chiusa. Rimasi senza fiato, riuscii solo a chiedere che cosa volesse dire. Mi spiegò che spesso tra la documentazione c'erano buste chiuse ma che nella stragrande maggioranza dei casi non contenevano che fogli bianchi oppure addirittura nulla. Non dovevo avere grandi aspettative, disse, ma la presenza della busta era un fatto positivo. Era necessario parlare con le mie sorelle. Avevo supposto di andare da solo a Napoli a consultare i documenti ma le notizie erano tali che, ero sicuro, nessuno si sarebbe perso la possibilità di essere presente all'apertura della busta. Qualsiasi cosa contenesse. Infatti decidemmo che saremmo andati tutti quanti e la data non poteva che essere il 14 di Luglio, anniversario della morte di mia madre. Da quando la mamma non c'era più, ci ritrovavamo tutti gli anni il 14 di Luglio a coltivare quella necessità di stare insieme e per assaporare ancora quel legame che lei aveva costruito. Tenere stretta per un anno intero quella sensazione di appartenenza ci dava forza, sicurezza. Così chiamai la Renzi e l'appuntamento fu stabilito per il 14 di Luglio alle 11.00 nei locali della Casa Santa dell'Annunziata.

Partimmo tutti e quattro la mattina presto. Le tre sorelle da Milano, io da Firenze e il mio treno si era perso da qualche parte sull'Appennino. Il treno successivo era un'ora dopo e potevo ancora essere quasi puntuale all'appuntamento. A Napoli le mie sorelle mi aspettavano, non eravamo particolarmente emozionati, credo che tutti e quattro fossimo certi che dentro quella busta potesse esserci qualcosa che era stato lasciato per un eventuale riconoscimento della mamma. La Renzi aveva insistito con la necessità di non farsi troppe illusioni e noi eravamo curiosi ma nessuno si aspettava grandi rivelazioni. Io pensavo che avremmo finalmente scoperto la ragione dell'evidente segno di una bruciatura che aveva un poco deformato uno dei piedi della mamma, mi aspettavo una cartella clinica, date di ingresso, di uscita. Il tempo di un caffè, di quelli che solo a Napoli si riescono ancora a trovare e poi arrivammo, non senza fatica, all'Ospedale dell'Annunziata e, attraverso dei cortili, finalmente ai locali che contenevano gli archivi. Ci accolse la Signora Renzi, gentile e premurosa come avevo già avuto modo di apprezzare. Insieme a un suo collega, dopo qualche minuto di attesa, ci invitò a prendere visione di un librone aperto sopra un tavolo.