Dunque la Alfano aveva affidato il nome della vera madre a un foglio di carta rimasto sepolto tra migliaia di documenti per quasi ottanta anni. In quella busta c'era la risposta al desiderio che aveva probabilmente attraversato mia madre per tutta la sua vita. Era soltanto un nome, un cognome, un luogo ma per un attimo era sembrato un punto di arrivo, un approdo, un luogo dove riporre l'ansia per lasciarla decantare. Eravamo riusciti ad arrivare molto più in là di ogni più rosea previsione. Anna, mia sorella, prendeva appunti, io fotografavo i documenti e le altre due sorelle ascoltavano la Renzi che spiegava come quel risultato fosse davvero non comune. Sfogliava avanti e indietro il registro e molte delle registrazioni che mostrava recavano una parola così definitiva da togliere il respiro: deceduto. Quello era il destino di molti dei bambini che venivano abbandonati. Non quello della mamma che aveva avuto la fortuna di essere affidata a Giuditta Sava la balia che forse oltre al latte era riuscita a darle anche la forza di sopravvivere. La Renzi compilò un verbale che mi sottopose per la firma. Non c'erano altri documenti e altre persone attendevano di poter salire sopra la macchina del tempo che ci aveva appena portato indietro fino al 1932 e da questo viaggio tornavamo con un nome, un cognome, un'età e un luogo.
Uscimmo dall'archivio caldo e polveroso ed eravamo stupiti e increduli.

Maria Di Filippo fu Nicola, di anni trenta, Otricoli provincia di Perugia.
Era quindi questo il nome della nostra vera nonna. Per strada, mentre la tensione finalmente calava, ci dicemmo ridendo che avevamo passato la nostra vita fieri di essere napoletani e ora invece scoprivamo di avere sangue umbro nelle vene. Chi era Maria Di Filippo? Che cosa faceva a Napoli? Perché abbandonò sua figlia? Domande a cui non eravamo in grado di dare una risposta. Ora però avevamo altri dati, altre tracce da seguire. L’età segnata su quel foglio era uno spunto di riflessione. Negli anni trenta le donne si sposavano quand’erano ancora molto giovani e iniziavano da subito a mettere al mondo figli. Le famiglie allora erano ancora molto numerose e quindi a trent'anni era plausibile che le donne avessero alle spalle diverse gravidanze. Un figlio a quell’età poteva quindi essere l’ultimo di una nidiata consistente ma difficilmente il primo. Istintivamente tendevamo a escludere che una donna che avesse altri figli fosse capace di abbandonare l'ultimo arrivato a meno che le condizioni economiche non fossero tali da non lasciare scelta. Ma i dati che avevamo fino a quel momento ci inducevano a scartare questa ipotesi. Sempre istintivamente davamo per scontato che in questo caso Maria avrebbe fatto “carte false” in tempi successivi pur di ritrovare quella figlia. Non potevamo escludere che in qualche modo le due nonne fossero venute in contatto e che la madre naturale fosse stata messa all’angolo da quella adottiva che conoscevamo bene e che sicuramente aveva grinta e carattere a sufficienza. Questo assunto però partiva da un presupposto tutt’altro che assodato: non sapevamo dove la Di Filippo aveva vissuto, non sapevamo se Napoli fosse stato per lei soltanto un luogo al riparo da persone conosciute per partorire quella figlia e abbandonarla senza timore di essere riconosciuta. Non sapevamo nulla. L’ipotesi che allo stato delle informazioni in nostro possesso sembrava più plausibile era che Maria potesse essere una prostituta d'alto bordo incappata in un "infortunio sul lavoro". Eravamo nel pieno del Ventennio, la Legge Merlin sarebbe arrivata solo venticinque anni più tardi e dappertutto era possibile trovare case chiuse anche di lusso. In questo modo si spiegavano l'abbandono, la disponibilità economica e anche la gravidanza in età che per l'epoca era sicuramente avanzata. Supposizioni, ipotesi, congetture. Davanti ad una pizza di Pellone ci eravamo rilassati e fatto anche qualche piano per i passi successivi. Maria De Filippo, sempre che il foglio ritrovato nella busta contenesse dati veritieri, doveva essere nata tra il 1901 e il 1902. Otricoli era un piccolo comune al confine tra Umbria e Lazio; meno di duemila abitanti e nessuno tra gli abbonati al telefono aveva quel cognome. Pensavo che sarebbe stato agevole in un comune così piccolo riuscire a parlare con qualcuno, avevo il timore di non aver diritto a chiedere un certificato di una persona che non era ufficialmente mia parente. Ho imparato invece che si possono richiedere certificati e atti senza problemi di parentela: è sufficiente identificarsi. Poi consultai il sito del comune di Otricoli ed inviai una mail:

Gentili Signori
Nell’ambito di una ricerca di carattere familiare vorrei richiedere la documentazione relativa a una persona nata a Otricoli nel 1902. Vi prego informarmi quale procedura devo seguire e quali dati devo fornire.
Grazie per la vostra attenzione

Durante il viaggio di ritorno verso Firenze pensavo anche alla balia, a quella Giuditta Sava a cui probabilmente dovevamo la sopravvivenza di mia madre. Anche quella era una traccia da seguire.