La Casa Santa dell’Annunziata consegnava i bambini abbandonati a balie che potessero alimentare e in seguito svezzare i neonati in cambio di un compenso. Non ho idea di quale possa essere stato l’ammontare di questo compenso ma di certo la possibilità di avere qualche introito, sia pure modesto, doveva essere importante per queste famiglie. Torrice è un paese di 4500 abitanti in provincia di Frosinone; secondo dati reperibili in rete, nel 1931 aveva un migliaio di abitanti in più. Come la maggior parte delle comunità che orbitavano intorno a grossi centri urbani, il paese era probabilmente a vocazione agricola. Giuditta Savo e Sisto Silvestri dovevano quindi avere figli e possibilità di recarsi a Napoli a prendere questi bambini dal Brefotrofio. La mamma rimase con loro dal 21 gennaio del 1932 al 18 marzo del 1933 e posso immaginare per un bambino di un anno che cosa voglia dire vedere il proprio mondo che improvvisamente cambia. Forse siamo noi, nel nostro tempo, a dare troppa importanza alla psicologia dei nostri figli piccoli ma ho provato a immaginare questa bambina abituata a odori, a voci, a tante persone intorno che un giorno viene portata via e consegnata a due persone sconosciute, in una casa nuova. Ho pensato anche che la nonna Dora avrebbe potuto raccontarci di cosa era successo il giorno in cui si era portata a casa quella figlia. Probabilmente era qualcosa che lei desiderava e non un ordine che aveva ricevuto. Invece dell’adozione della mamma non si doveva parlare, era un segreto oscuro, un buco nero senza notizie e quindi totalmente privo di emozioni. Nemmeno il fatto che la mamma avesse poco più di un anno, neanche quella era una notizia conosciuta, la nonna Dora aveva solo detto che "era piccola". Un’adozione è comunque un atto di amore, a volte è troppo sbilanciato verso l’egoistica necessità di dare un significato alla propria vita, a volte il senso di maternità è totalmente assente e non riesce a essere svelato nemmeno quando arriva in casa un essere che chiede amore e protezione. Ritengo che nella maggior parte dei casi sia una fortuna per i bambini che almeno vengono strappati via da quei famosi refettori e camerate in cui avevo immaginato la mia mamma. Anche per i genitori a volte è una fortuna, anche se non sempre sono in grado di apprezzare il cambiamento e continuano ad usare più il cervello che il cuore nel rapporto con i propri figli adottati.

Sul sito di Paginebianche inserii Silvestri e poi Torrice negli spazi indicati. Il risultato era una persona che inequivocabilmente doveva essere un parente: Sisto Silvestri era un geometra, abitava a Torrice e non poteva che essere un discendente del Sisto Silvestri marito di Giuditta. Non ci pensai due volte e chiamai il numero di casa. Dopo due tentativi in cui parlai probabilmente con il figlio, riuscii finalmente a trovare lui.
-Lei è forse parente di Sisto Silvestri marito di Giuditta Savo? – chiesi.
-Certo, erano i miei nonni. Io porto il nome di mio nonno-
Di nuovo fui pervaso da quella sensazione di attraversare il tempo: era successo quando la Renzi mi aveva detto della busta chiusa. Per un secondo rimasi senza fiato, poi spiegai a Sisto il motivo della mia telefonata, non senza un poco di apprensione. Immagino che se un giorno qualcuno mi chiamasse per entrare d’improvviso nella mia vita dovrebbe farlo in modo delicato, non a gamba tesa. Lui fu gentile e subito mi disse che gli dispiaceva perché da pochi anni suo padre era morto e lui sapeva molte cose della sua famiglia. Però si ricordava che sua nonna aveva avuto dei bambini in affidamento, c'erano ancora molte persone che avevano vissuto quegli eventi, e tra queste c'era sua zia, Teresa, nata nel trentuno. Forse avrei potuto parlare con lei, forse qualcosa ricordava; Teresa era una donna anziana, mi disse, ma era ancora lucida. Concordammo un appuntamento telefonico di lì a qualche giorno e prima di riattaccare mi disse che quello che ricordava meglio di sua nonna era la dedizione di Giuditta ai figli e ai nipoti.

Teresa al telefono era emozionata. Mi disse che si ricordava di quella bambina che era stata con loro, si ricordava che sua madre non voleva più restituirla e la nascose per non perdere quella che oramai era sua figlia. Sentivo che anche per lei si era aperta quella finestra che attraversava gli anni e mi sentii quasi colpevole per le emozioni forti che questo le causava. Non potevo chiedere di più e quello che mi aveva detto era già una conferma di quello che avevamo intuito. Le dissi che sarei venuto presto a Torrice per conoscerla e per andare al cimitero dove Giuditta riposava, rendere omaggio alla persona a cui dovevamo la sopravvivenza della mamma.

Qualche mese dopo sono stato a Torrice ed ho trovato una famiglia che non avevo mai sospettato di avere. Sisto abita ancora nella casa di famiglia, la stessa dove mia madre ha passato i primi mesi della sua vita, costruita dai bisnonni e poi abitata da Giuditta e Sisto Antonio. La casa sorge sul crinale di una collina e domina il paesaggio circostante fatto di vigne e ulivi e l'orizzonte non si ferma dopo pochi metri ma spazia fino alle colline che chiudono la valle. Si respira un'aria dolce a Torrice e ho pensato subito al silenzio di cui godono coloro che non abitano le nostre città sovraffollate e rumorose. Sisto mi ha accolto con una gentilezza e un pudore che avevo già avuto modo di apprezzare nei nostri colloqui telefonici. Mi è venuto incontro sulla strada principale e c'era anche Vincenzo, figlio di Teresa, che mi aspettava al distributore dove avevamo appuntamento. Non c'era imbarazzo per uno sconosciuto che arriva da lontano, c'era un pezzo di famiglia che si riuniva dopo molti anni, anche se i personaggi non erano gli stessi e non era esattamente lo stesso sangue che correva nelle vene. Sisto ha ascoltato il mio racconto e quel poco che sapevo dei mesi che mia madre aveva passato a Torrice combaciava con i suoi ricordi: Giuditta era piccola e minuta ma dentro aveva forza e la determinazione di cui solo le donne son capaci. In quella casa ha allevato tutti i suoi figli e ha accolto la mia mamma e qualche anno dopo anche un altro bambino abbandonato. E' stata per lungo tempo sola mentre il marito era lontano, in Francia per lavoro e nonostante i sacrifici che sicuramente hanno segnato la sua vita tutti ricordano una Giuditta sorridente, il centro e il punto di equilibrio di un piccolo universo. Sisto mi ha aperto la sua casa, mi ha mostrato un vecchio sidecar tirato a lucido e poi i documenti che attestano la nascita dei nonni mentre sua moglie metteva sopra il tavolo caffè e dolci. Vincenzo raccontava che era comune l'abbandono, c'era una donna nel paese molti anni prima che era stata molestata e la violenza aveva avuto come risultato un figlio che era stato abbandonato proprio all'Annunziata. Sembrava volesse aiutarmi a togliere dalla vicenda di mia madre tutto il rancore per la donna che l'aveva abbandonata. Poi Sisto mi ha indicato quali erano le stanze che avevano occupato Giuditta e suo marito. E poi la moglie di uno degli zii che con una vecchia foto in mano mi ha detto che ha vissuto cinquant'anni con suo marito e che sono stati anni di una bellezza indimenticabile. Tutti sapevano chi ero io e tutti raccontavano la stessa cosa. Giuditta era presente in ogni molecola di quel mondo e di quelli che vi abitavano.

Poi siamo andati al cimitero e in quel luogo era raccolta tutta la storia della famiglia. I figli maschi sono tutti morti e molti di loro hanno storie affascinanti: il soldato che amava scrivere e che ha passato tutta la sua vita in compagnia delle parole; quello morto giovane in sella alla sua motocicletta, tragedia che probabilmente ha inciso così profondamente da mantenere intatto attraverso il tempo il rammarico anche nelle persone che non erano ancora nate. E poi le tombe dove riposano Giuditta e Sisto, separate, in luoghi diversi del cimitero. Le lettere sbiadite dal tempo sulla lapide di lui con la sua immagine di uomo d'altri tempi mentre di lei si notano immediatamente il sorriso buono e gli occhi sereni, quasi a contrasto con il vestito nero. Ho visto poi la tomba di Domenico, padre di Sisto, morto soltanto due anni fa, quella del padre di Vincenzo, marito di Teresa, e mentre passeggiavamo per i sentieri stretti del cimitero mi sono di nuovo sentito parte di quella famiglia inaspettata e accogliente.
Grazie Giuditta.
Ora volevo conoscere Teresa.